A proposito di Report, libertà di informazione, vaccini e giornalismo.
Punto primo: chi oggi chiede la chiusura di Report è un fascista. Punto secondo: il servizio di Report sui vaccini era sbagliato, sensazionalista, ingiusto, di parte, basato su basi scientifiche pari allo zero.
Detto ciò, non so se valga la pena riflettere su quanto è capitato alla nota trasmissione tv, ho la sensazione che sia tempo sprecato. Parliamoci chiaro: le polemiche e gli attacchi che seguono dopo “servizi” del genere, fanno piacere innanzitutto ad autori e conduttori delle trasmissioni. Aumentano ascolti e tasso di attenzione sui social. E’ la vecchia regola del “purché se ne parli”. Chiarito questo, al di là di atteggiamenti “vittimistici” del giorno dopo che suonano falsi come una banconota da due euro, un dato va comunque sottolineato. E riguarda la professione giornalistica. Piaccia o meno un dibattito sul tema, si tratta di discutere sulla “qualità” e sulla “natura” della democrazia.
Oggi tutti sono giornalisti, e tutti possono parlare di tutto. Si confonde l’informazione, anche quella dura, di denuncia, frutto di un lavoro approfondito, con il sensazionalismo. L’intrattenimento con l’approfondimento. E allora lo spettacolo prende il sopravvento. La telecamera nascosta, il personaggio da intervistare (muto e dal piede veloce) inseguito col fiatone e col microfono in mano, il talk fatto di vaffa e parolacce, schiacciano il lavoro del giornalista. Che deve essere spietato e indipendente, e per esserlo ha bisogno di essere puntuale, documentato, sapiente. Ma i giornalisti, prima e più degli altri, non lo capiscono e si comportano come l’impiccato che unge la corda del suo boia. Una volta (non molto tempo fa) se volevi conoscere gli orrori delle guerre, leggevi Ettore Mo. Se invece volevi sapere di Sud e delle sue puzzolenti classi dirigenti leggevi Giorgio Bocca. Se volevi guardare in faccia le mafie ti affidavi ai reportage tv di Joe Marrazzo. Oggi? Vai in giro e ti dicono “l’ho visto su Striscia…lo hanno detto le Jene…ne ha parlato Barbara D’Urso…”. Così è la fine, cari colleghi (rivolto ai giornalisti). Così è la fine, questa volta rivolto a chi ha ancora a cuore la democrazia. Ecco perché il servizio di Report sui vaccini era sbagliato. Per questa ragione, e per altre ancora più forti: se parlo di scienza metto gli scienziati a confronto, se parlo di medicina metto a confronto specialisti favorevoli e contrari ai vaccini, se parlo di lobby dell’industria farmaceutica (un campo da esplorare veramente smisurato), chiamo chi contro questo sistema di interessi si batte da anni. E sono medici, organizzazioni degli ammalati, sindacalisti. Certo, il servizio risulterà più noioso, meno accattivante, poco spettacolare, scarsamente attrattivo per facebook e twitter, ma certamente più utile.
Ma queste sono tutte parole inutili, tempo perso. La realtà è che hanno vinto loro. I cialtroni.
Ps: Anni fa, andai a Terni a seguire la lotta degli operai delle acciaierie contro licenziamenti e chiusura. Già allora mi raccontarono di Roberto Benigni e dei suoi interessi sulla Cinecittà dell’Umbria. La storia era nota, ma chi li ascolta gli operai? Poveracci: non fanno audience. Questo è il tempo dei nani e delle ballerine.