Usura: il crimine sommerso che uccide l’economia, anche in Sicilia

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(di Marco Bova)
Dipendenza, connivenza ma soprattutto sudditanza. Sono questi i rapporti basati sul meccanismo dell’usura. A partire dal sequestro di 4 milioni e mezzo di euro inflitto nei confronti degli Alberti, noti gioiellieri di Trapani. I dati di cronaca sono quotidiani ma la geopolitica degli “strozzini” ricopre l’intera Sicilia. Gli ultimi dati emessi dal Ministero dell’Interno risalgono al 2015 e l’isola è la nona regione d’Italia con 3819 denunce ogni 100 mila abitanti. Ma il reato è parecchio atipico. Un fenomeno composto da vittime e carnefici impegnati ad insabbiare qualsiasi tipo di traccia. Anche per questo i numeri vanno analizzati con attenzione.
In Italia il giro di affari legato all’usura è di oltre 82 miliardi e l’ultimo studio è quello realizzato dall’istituto di ricerca Eurispes che ha valutato il “tasso di permeabilità dell’usura”. La classifica si basa sui dati ottenuti dall’incrocio di “23 diverse variabili socio-economiche fra cui il livello di disoccupazione, la ricchezza complessiva del territorio e l’entità dei fenomeni estorsivi“. Siracusa è terza città d’Italia a rischio; Trapani al quinto posto, Palermo al settimo, Catania al nono e Caltanissetta al decimo. E i numeri fanno il paio con la cronaca. Il fenomeno è in continua evoluzione e accanto alla figura dell’usuraio classico, lo strozzino, stanno fiorendo nuove forme, spesso molto ben occultate, di crimini illegali. Colletti bianchi ma anche vecchi metodi mafiosi come quelli che a Enna hanno portato alla macabra uccisione di un tabaccaio, Giuseppe Bruno, dato in pasto ai maiali per un debito non pagato. Una delle istantanee più attuali del tema è del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato. “La crisi – ha spiegato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario – incide parecchio in Sicilia, regione più povera del Paese. C’è un regresso rispetto al passato sia sotto il profilo economico che sotto quello dell’uguaglianza. La disoccupazione giovanile è al 60% e chi lavora spesso lo fa in condizioni di sfruttamento ed è quindi normale – ha concluso – che, nonostante l’ottimo lavoro svolto dagli uffici giudiziari, l’opinione pubblica perda fiducia nelle istituzioni. In questo quadro si spiegano le rare denunce delle estorsioni e delle testimonianze per rapine e furti. Le vittime, inoltre, non denunciano gli usurai perché si spaventano di perdere la loro unica fonte di sussistenza”.
Per dirla alla Paolo Sorrentino, in molti non vogliono abbandonare il loro “Amico di Famiglia” e stando ai dati delle Questure e dei Tribunali non vogliono neppure denunciarli. E qui si complica la tracciabilità. A Campobello di Mazara, nel trapanese, alcuni mesi fa è stato incendiato l’uliveto di un avvocato, Martina Martingiglio, che assiste sette parti civili in un processo per usura nei confronti di Paolo Mirabile. Il dato su cui riflettere è che nel processo che si svolge dinanzi ai giudici del tribunale di Marsala, gli inquirenti avevano individuato 24 vittime, ma 17 hanno preferito non costituirsi parte civile. Ma c’è dell’altro. Nel marzo dello scorso anno i carabinieri di Trapani durante un’operazione antimafia hanno arrestato l’imprenditore Vincenzo Artale, noto per le sue attività nella locale associazione Antiracket, di cui era socio. L’uomo nel 2006 aveva denunciato alcuni esattori del pizzo ma nel 2009 la Prefettura di Trapani – di concerto con il Ministero dell’Interno e la Procura Antimafia di Palermo – bocciò la richiesta di accesso ai «fondi riservati ai risarcimenti» presentata da Artale. Nel frattempo però il Ministero dell’Interno aveva erogato 250 mila euro di indennizzo in due tranche. «In alcune riunioni in Prefettura – disse il presidente dell’associazione Vincenzo Lucchese – il suo caso veniva descritto come un modello da seguire». In molti casi ad agevolare l’atteggiamento “omertoso” c’è la lentezza dello Stato. A partire dal Fondo di Solidarietà per le vittime di Usura. Un imprenditore palermitano, Giuseppe Schirrù, che aveva denunciato (in foto) la richiesta di tangenti e infiltrazioni mafiose chiamando in causa Monte dei Paschi di Siena per la “presunta” applicazione di tassi usurai nei confronti della sua azienda (Emyr Sanitaria), lo scorso mese ha segnalato la mancata erogazione dei fondi nonostante dallo scorso luglio sia stato riconosciuto come “vittima“.
L’ultimo stadio del dramma dell’usura, infatti, è quello dalle forme bancarie. “In un processo attualmente in corso – dice il presidente dell’Antiracket di Trapani, Giuseppe Novara – una delle vittime ha denunciato la chiusura del credito da parte di un istituto bancario e il corrispettivo aumento dei debiti verso quella banca, e il caso non è del tutto isolato”. Tra il 2014 ed il 2015 numerose banche sono state condannate ad un risarcimento dei clienti dai tribunali di Marsala, Palermo, Trapani ed Enna. Il caso eclatante ovviamente è quello di Banca Nuova e dell’ex direttore Francesco Maiolini, condannato a febbraio 2015 a otto mesi, pena sospesa, con il rito abbreviato. Il processo adesso si trova dinanzi la Corte d’Appello, che lo scorso luglio ha assolto tre dirigenti dell’istituto bancario (che avevano scelto il rito ordinario) perchè “il fatto non costituisce reato”. La vicenda è complessa ma la tragedia dell’assurdo sta nel fatto che Maiolini, nel frattempo, ha inaugurato un altro istituto bancario. Si chiama “Igea Banca” e alla sua inaugurazione c’era l’intero mondo dell’imprenditoria siciliana. L’ultima trovata del sistema bancario si chiama “commissioni, remunerazioni e spese”. Il dettaglio in questi mesi è stato al vaglio di alcuni studi legali che hanno analizzato la documentazione di clienti che si ritengono vittime di usura bancaria. E potrebbe aprirsi un nuovo fascicolo.

(pubblicato su IlSicilia del 27 febbraio 2017)