La libertà di stampa è tutto – Intervista ad Alessandra De Nicola

CITIZEN KANE, Orson Welles, 1941, astride stacks of newspaper

CITIZEN KANE, Orson Welles, 1941, astride stacks of newspaper

di Silvia D’Egidio

È ancora possibile un giornalismo sincero, autentico e soprattutto libero? È una domanda difficile a cui rispondere, in un momento in cui l’informazione appare sempre di più “spezzettata e automizzata” per dirla con le parole del vice direttore de L’Espresso, Marco Damilano. Eppure sono esistiti professionisti che non si sono arresi ai compromessi ma che hanno portato avanti con fierezza ed integrità un giornalismo onesto e libero, uomini come Mario Borsa. Lo sa bene Alessandra De Nicola, giornalista e storica abruzzese, che a questo professionista del secolo scorso dedica un libro dal titolo La libertà di stampa è tutto – Mario Borsa, cinquant’anni di giornalismo democratico (Rubbettino Editore, 19.00€). Puntuale ed oggettivo, il racconto della De Nicola ci riporta ad un tempo in cui il giornalismo si viveva sul campo attraverso la figura di Mario Borsa, “repubblicano, antifascista, democratico e progressista”come amava definirsi, che non tradì mai i suoi ideali anche quando questi gli costarono la libertà. Scrittore, saggista e pubblicista, Borsa incarna il profilo di un intellettuale che esercitava la propria professione con passione e onestà, il cui pensiero ha avuto la forza di non esaurirsi nel suo tempo per arrivare a noi: «Dobbiamo educare la cittadinanza e noi per cementare la vita pubblica alla cui deficienza dobbiamo le nostre sciagure dell’anno, l’insipienza o la tristezza dei governanti e l’incoscienza o l’apatia delle masse» (1899).

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Mario Borsa

Quando è nata l’idea di questo libro e perché?
L’idea del libro nasce da un progetto di dottorato. Rientravo da un anno di studio all’estero a Parigi e con il mio professore di allora, Piero Nicola Di Girolamo, titolare di storia del giornalismo all’Università di Teramo, riflettevamo su quanto si fosse molto indagato sui pochi uomini, per lo più di liberali, che agli albori del Novecento furono i direttori e spesso anche i proprietari delle testate che hanno fatto storia: pensiamo a Torelli Viollier e Luigi Albertini del Corriere della Sera, ad Alberto Bergamini del Giornale d’Italia. Da qui sono partita, senza dimenticare che un giornalista come Walter Tobagi indicava in Mario Borsa il suo mentore e ispiratore e questo fu un vero stimolo ad indagare.

Mi racconti chi era Borsa?
Borsa era una giornalista militante, consapevole, schierato con impegno da vero intellettuale a difendere la libertà di stampa. Era un punto di riferimento nel suo pantheon: non a caso ne parlava proprio la sera prima che fosse ucciso in un incontro al Circolo della Stampa e Milano. Del resto, il direttore del Corriere “della Liberazione” era il simbolo della Resistenza.

Esistono più professionisti come Mario Borsa?
Non ne esistono come lui perché non ci sono più uomini del Novecento, quelli che hanno vissuto l’Italia Umbertina, creduto in Giolitti, visto la tragedia della Grande Guerra e subito le randellate, l’olio di ricino e le devastazioni fasciste. Borsa era un uomo del suo tempo, un uomo del Novecento. Con la sua intransigente integrità morale e professionale metteva in conto qualche anno di carcere per la difesa della libertà di espressione che gli stava tanto a cuore perché diceva, era alla base di tutte le altre libertà. E infatti fu espulso dall’albo, sorvegliato, privato del passaporto, ammonito e incarcerato proprio qui in Abruzzo a Vasto nel 1940 quando venne considerato un italiano “pericoloso”. Oggi le cose fortunatamente non sono più così. Ma non bisognerebbe mai dare per scontata la libertà.

Che uso si fa della libertà di stampa oggi?
Oggi la mancanza di libertà è un processo più sottile, più subdolo. Se ti costringono a scrivere per 5 euro un pezzo quanta accuratezza potrai usare in quelle righe? Non è libertà di espressione. Se la pubblicità si riversa on line, se gli editori chiudono o si accorpano, è chiaro questi processi di aggregazione riducono l’occupazione e l’autonomia delle testate come dei singoli operatori. Le stesse abitudini di lettura condizionano il giornalista: fare del sensazionalismo è libertà di espressione? No di certo, è sottostare alla logica del mercato. Io credo che incalzati dalle informazioni leggiamo male e velocemente. A mio parere si avverte molto, nel nostro tempo, la necessità della mediazione culturale che svolgono i giornalisti.

Crede che la libertà di stampa sia un’utopia?
No, ma le condizioni in cui si riesce a scegliere incisivamente a favore della libertà sono più complesse. Le fusioni come quella da Espresso e Itedi (cioè La Repubblica, Il Secolo XIX e La Stampa) sono difficili da contrastare. Un esempio piuttosto lampante si è avuto in Italia quando un gruppo di autori capitanati da Umberto Eco hanno lasciato la Bompiani e hanno fondato una casa editrice, La nave di Teseo, per sottrarsi alla fusione di Mondadori e Rizzoli. È stato un po’ come rileggere l’emozionante lettera di dimissione di Borsa quando nel 1946 lasciò il Corriere per i contrasti con la proprietà: “forse non siete abituati ad un uomo […] inamovibile e intransigente nella sostanza [come me]” o quando nel 1925 fu tra i primissimi a dare del “dittatore a Mussolini”. Egli rimane un esempio straordinario di difesa dell’autonomia professionale. Oggi le parole sono divenute più facili, ma sono rimaste difficili le parole ponderate, quelle di sobrietà e di coraggio, soprattutto quando dovrebbero essere seguite dai gesti.

Qual è la situazione in Italia oggi?
L’Italia oggi è al 77esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere per il 2016 lo ricorda spesso proprio il Segretario generale della Federazione Nazionale dalla Stampa Raffaele Lorusso. Bisogna rafforzare le regole che consentono di garantire il principio del pluralismo dell’informazione. Si tratta di forme di aggressione più raffinata, prima erano fisiche e verbali, ora magari più sottili, ma la sostanza non cambia. Il giornale in sé è un mezzo delicatissimo in quanto è un servizio pubblico pertanto non può essere lasciata alle dinamiche del mercato, né alle logiche del potere. Ma noi siamo consapevoli che la libertà di stampa riguarda tutti?

Sulla libertà di stampa Bulgakov affermava: “Io sono un feroce partigiano di questa libertà e dichiaro che uno scrittore che possa farne a meno somiglia ad un pesce che dichiara pubblicamente di poter fare a meno dell’acqua.” Per lei vale lo stesso?
È tutto nel momento che influenza l’andamento del voto e quindi le nostre democrazie. Ci siamo chiesti quando l’estrema disponibilità di notizie attuale sia in realtà un’arma a doppio taglio: si crede di sapere tutto e presto così si taglia il ruolo fondamentale del giornalista, quello che dovrebbe analizzare, far riflettere, indicare la strada, magari più lunga ma anche lungimirante per la società a cui si rivolge.

Pubblicato sul quotidiano La Città della provincia di Teramo il 03/01/2017