Ad Accumoli tendopoli vuota “Questa non è la nostra vita”
Un paese fantasma. Questo è Accumoli. Nella tendopoli, in una gola dove prima c’era il campo sportivo, sono rimasti dai 15 ai 18 sfollati. “Ma dovranno partire anche loro – ci dice il capo-campo della Protezione civile – Fra un paio di giorni smonteremo le tende”. E voi, dove andrete, cosa farete? Sono le domande che rivolgiamo. Una donna arrabbiata. Anche con i giornali e le tv. “Volete sapere perché non andiamo via? Come si vive sotto le tende? Lo fate solo per l’audience… La nostra vita non è un talk-show del pomeriggio”. PASSANO alcuni minuti di imbarazzo, ma il fatto che abbiamo solo un taccuino riporta la calma. La signora di prima: “Ma le pare giusto sradicare una intera popolazione. La gente è dispersa. Chi ha scelto di andare a L’Aquila nelle case di quell’altro terremoto, chi dai parenti, altri si sono ammassati negli alberghi a San Benedetto del Tronto. Tutti via e intanto qui non si tiene un consiglio comunale, non c’è una riunione nella quale parlare del futuro, non sappiamo dove verranno costruite le casette per affrontare l’inverno. Siamo all’oscuro di tutto”. Sentiamo il sindaco Stefano Petrucci, professione geometra (come molti politici locali). “La gente ha scelto di andar via, 250 negli alberghi, altrettanti si sono sistemati autonomamente con il contributo di 200 euro a persona. Rimane il problema di una quarantina di agricoltori, lo risolveremo con i container. Bisogna essere positivi, il termine dei sette mesi per la costruzione degli alloggi provvisori sarà rispettato. Le aree ci sono, sbrigate tutte le pratiche burocratiche le urbanizzeremo, poi faremo un censimento per capire le esigenze delle famiglie e che tipo di moduli dovremo scegliere”. “Venerdì con il commissario Errani presenteremo gli interventi per la ricostruzione”, promette Renzi. Ma ai “giapponesi” della tendopoli le parole non bastano più. Il tabaccaio del paese ha scelto una casa nella new town de L’Aquila: “Ora i bambini hanno un tetto sicuro sulla testa, ma io non ho più un lavoro. Spero che il paese torni a vivere per riaprire la mia attività. Non so che fare”. Signora anziana che vive in uno degli hotel di San Benedetto: “Dicono che dobbiamo essere soddisfatti, siamo al mare e in albergo. Ma è dura chiudere tutta la tua vita in una stanza piccola. Non c’è intimità, i bambini sono agitati. Non è la nostra vita”. Agricoltore che ha scelto di restare in paese: “Che faccio? Porto le mie vacche al mare? Non vogliamo fallire, abbiamo solo bisogno di un container e di ricoveri per le bestie”. Rita mostra le foto della sua casa. Mura di pietra, tetto di legno. Uno squarcio al fianco. La casa accanto aveva il tetto di cemento, è crollata e l’ha fatta implodere. “Avevo ristrutturato casa seguendo le indicazioni dei vecchi mastri del posto. Le travi di legno mi hanno salvato”. Accumoli, 667 abitanti, 19 frazioni. Undici morti per il terremoto. Il centro è zona rossa, ma alla frazione Tino ci arrivi. Non c’è anima viva. Poche case, qualcuna sventrata, le altre portano intatte i segni della fuga la notte del sisma. “…frane oscene e macerie che fanno pensare a ventri squarciati da cui siano scivolati giù fino ai marciapiedi e oltre le interiora”, scriveva nel 1980 Alberto Moravia parlando del terremoto dell’Irpinia. LE MACERIE PARLANO. Raccontano la furia della natura e le complicità dell’uomo. Quelle di Accumoli hanno tanto da dire. Su come sono stati spesi i soldi del dopo-terremoto del 1997, 2 milioni 995 mila euro da dividere con Amatrice. Sugli adeguamenti antisismici fantasma di case e chiese. 116 mila euro per quel campanile che è crollato su una casa uccidendo una intera famiglia. 150 mila per la sicurezza della caserma dei carabinieri. Crollata pure quella. Soldi, progetti farlocchi, 60 milioni di euro alla Provincia di Rieti per mettere in sicurezza case ed edifici pubblici, 21 appalti e 800 tra architetti, ingegneri e geometri, che hanno fatto la loro fortuna. Insomma, la ricostruzione all’italiana. Un male peggiore del sisma. “Il 20% dei soldi della ricostruzione è finito nelle tasche dei tecnici”, scrisse 36 anni fa il sociologo statunitense Rocco Caporale analizzando il post terremoto irpino. Lo bollarono come disfattista.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 20 settembre 2016)