Operazione Giotto: il caso del prestanome

trapani nastasi2

(di Marco Bova)
Ci sono i prestanomi nell’inchiesta condotta dalla Dda di Milano, nell’ambito dell’operazione Giotto disposta dal procuratore aggiunti di Milano, Ilda Boccassini e coordinata dai sostituti Sara Ombra e Paolo Storari. Una di queste è Simona Mangoni, da ieri ai domiciliari. Secondo i magistrati è uno dei «bracci operativi» di Nastasi e «formale amministratrice della società consortile Dominus Scarl».

I rapporti tra i due erano di «estrema fiducia», ma ad un certo punto il 1 aprile dello scorso anno Nastasi (discutendo con Liborio Pace, suo sodale e link con la mafia di Pietraperzia, ad Enna) decide di allontanare la donna dalla gestione societaria. «Questa ha visto numeri grossi e non regge più» dice. Leggendo le intercettazioni emerge la loro storia sentimentale, intrecciata strettamente con le vicende giudiziarie, ma queste preferiamo non scriverle. Sta di fatto che ad un certo punto Simona Mangoni si ritrova fuori dalle società.

Al suo posto subentra Calogero Nastasi, padre di Giuseppe. L’uomo, secondo gli investigatori, «risulta totalmente avulso alla realtà imprenditoriale milanese» ed è «pienamente consapevole della gestione illecita del figlio in varie società, inserite nel meccanismo degli innumerevoli illeciti tributari». Giuseppe Nastasi teme le indagini della magistratura. Già a febbraio temeva l’intervento dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone, e nel luglio – a pochi mesi dalle modifiche societarie – si preoccupava delle possibili dichiarazioni di Simona Mangoni.

«Sa troppi cazzi» dice, ed effettivamente è lei a svelare il 23 ottobre «il luogo ove era occultato il server «parallelo» (dove era custodita la contabilità ufficiosa)» delle società. La donna informa Nastasi della perquisizione e del suo status di indagata e lui prova a convincerla a ritornare negli asset aziendali. Rifiuta dicendo «io non posso venire lì, mi hanno detto assolutamente no, non posso venire ne ad aiutarvi ne a rilavorare».