Le donne di Gomorra

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Sono donne dure. Senz’anima. La loro bellezza è marcata, volgare, la sensualità esposta, esibita, sbattuta con senso di sfida in faccia al mondo. Amano, odiano, fanno figli, sanno essere sottomesse ma sono pronte a diventare capi. A comandare, ad impartire ordini di morte, come gli uomini e peggio degli uomini. Sono le donne di Gomorra, uguali, nella finzione e nella realtà. Stesse tute indossate in casa. Firmate per le donne dei capi, “pezzottate” (false e comprate sulle bancarelle) per quelle dei guaglioni. E una tuta, ovviamente acquistata in una boutique, indossa Chanel nella scena cult di Gomorra seconda serie. Quella del sexy-toys. Lei è una iena, e ci tiene ad esserlo. Perché “na pantera è bella assaie, ma nun conta nu cazz, invece miezz e iene a cummannà song ‘e femmene”. Il comando, il potere, il controllo di una piazza di spaccio. I danari. E’ questa, e solo questa, altro che codici d’onore, la regola della moderna camorra. Cristina Donadio, una vita passata in teatro, è volto e anima di Chanel. “Un personaggio malato, affetto da malvagio egocentrismo. Fa male agli altri per salvare se stessa”. Così l’attrice descrive la donna boss. “Cirù nun pensà che dint’a sta guerra tu può fa a parte da Svizzera”, dice Chanel a Ciro Di Marzio. “Bivt nu poco r’acqua”, è la frase rivolta al guaglione affogato nel suo stesso sangue per punirlo di uno sgarro. Occhi di ghiaccio, anche quando assiste all’esecuzione (una scarica di calibro 9 nelle palle) dell’uomo che “mette ‘e corn” al figlio Lelluccio. Lui è a terra agonizzante, lei lo guarda impassibile e gli lancia il mozzicone della sigaretta. Monumentale la “lezione” impartita alla giovane Marinella, “traditrice e zoccola”. “Mariné c’è sultant na manera pe na femmena si vo essere libera: nun adda tené nisciun marito”. La ragazza è prigioniera, lei la carceriera che ogni sera chiude con un cancello l’ingresso al pianerottolo del suo appartamento. Un pizzico di libertà Chanel se lo concede quando è da sola in bagno. Non ci sono occhi a scrutare la sua “debolezza”. Prende il suo sexy-toys di lusso, dorato e comprensivo di angeliche ali, e canta “Nun so na bambola”, vecchia hit da tv private napoletane della neomelodica Cinzia Oscar. “Nun so na bambola ca se po rimané ngoppa a nu mobile…”. E’ l’unico momento di umana debolezza della iena. Una citazione d’autore degli sceneggiatori di “Gomorra”. Nel 1994, Aurelio Grimaldi girò “Le buttane”, un Film ambientato a Palermo. Bianco e nero, interno notte, un magnaccia canta “Casa bianca”, vecchia canzone di don Backy, usando come microfono proprio un sexy-toys.

La scena è stata oggetto di proteste e soprattutto di quella critica, affrettata, che giudica la narrazione di Gomorra esagerata e fuori dalla realtà. Le donne di camorra, è il leit motiv, non sono così. E hanno ragione, perché sono peggio. Prendiamo Chanel, qualcuno dice che la figura della boss sia stata ispirata alla vita di Maria Licciardi, detta ‘a piccerella, sorella di Gennaro, inteso ‘a scigna, diventata il capo indiscusso dell’Alleanza di Secondigliano. La donna è in carcere e nel novembre 2002 riceve una visita. Ci sono in ballo leggi e amnistie, e soprattutto la nomina del procuratore di Napoli. Si fa il nome di Giancarlo Caselli e Maria ‘a piccerella sbotta: “Quello fece un brutto articolo su Gennarino nostro”. L’interlocutore la rassicura (“Caselli se ne è andato in Europa, nun te preoccupà, appena Berlusconi è salito al governo l’ha mandato affanuculo”), ma Maria la boss inveisce contro Berlusconi: “Stu piezz’ e merda, hammo fatto tanto po fa saglì, sta facenno tutte e cose pe isso”. Questa è la camorra vera, la fiction è solo fiction.

“Patrì, so stanco. So stanco ma nun me pozzo fermà”. Anche don Pietro, grazie a Patrizia, ritrova uno sprazzo di umanità. La ragazza è nipote del suo braccio destro, Malammore, anche lei è figlia della camorra. Dovrebbe essere una ambasciatrice e invece diventa l’amante del boss. Patrizia è l’attrice Cristiana Dell’Anna, nella scena citata recita con gli sguardi. E’ giovane, ha tre fratelli da mantenere, rischia la vita, ma è affascinata da don Pietro Savastano. Lo rispetta. Quando il boss la disprezza per quel tatuaggio sul braccio (una leonessa), lei se lo cancella col fuoco. Scala l’anima di don Pietro lentamente. “E figli e e muort s’hanno lassà”. I figli e i morti si devono lasciare andare, gli dice presagendo il nero che verrà a e che concluderà la seconda serie. Genny che indurrà Ciro l’immortale ad ammazzare quel padre ingombrante, vecchio boss che non capisce che “’e cose so cagnat”. Forse, chissà, nella serie numero tre sarà lei la donna boss.

La camorra è lotta per il potere e per i soldi. “Il potere va esibito”, dice Genny Savastano. Anche lui ha una donna, si chiama Azzurra (l’attrice Ivana Lotito). E’ figlia di un boss che si è trasferito sul litorale laziale, dove ripulisce i narco-euro con appalti e costruzioni. Genny se ne libera con una soffiata ai carabinieri. Fa arrestare il suocero proprio nel giorno in cui impalma Azzurra. La lotta per il potere non conosce regole. Genny spiega così il suo gesto alla giovane moglie. “Tuo padre mi aveva proposto un’alleanza in cui io ero sempre al secondo posto, e noi non dobbiamo essere secondi a nessuno. Azzurra, noi dobbiamo essere i padroni del nostro futuro”. Lei abbassa gli occhi e capisce: “Tradisco il mio sangue per te”.

 Capitalismo selvaggio e senza regole, voglia di accumulare denari e conquistare spazi con tutti i mezzi. La camorra non ha codici da rispettare, i legami di sangue non contano, la fedeltà è una favola per bambini. E’ la camorra, quella vera.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 16 giugno 2016)