La celebrazione del diritto al lavoro
Il Primo maggio è certo la festa dei lavoratori, ma è soprattutto la celebrazione del lavoro e, quindi, di chi un lavoro ce l’ha ma anche di chi un lavoro non l’ha. E sono tanti, giovani e meno giovani, che aspirano a quel diritto sacro – sancito dalla nostra Costituzione – che è poter lavorare. Senza lavoro, senza occupazione, non c’è dignità, non c’è speranza di cambiamento, non c’è futuro. “Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti”. Lo ripete papa Francesco in ogni occasione che gli si presenta. Soffermandosi in particolare sui giovani: “vittime della disoccupazione, rassegnati a continui rifiuti o all’indifferenza di una società che premia i soliti privilegiati e impedisce a chi merita di affermarsi”.
Le vicende che puntualmente si ripetono, in particolare al Sud, di fatti di sangue che coinvolgono – e spengono – giovani vite umane, ci devono far riflettere. L’indignazione momentanea per quelle atrocità non basta. Anzi, diventa un comodo alibi se non seguito dall’individuazione di percorsi finalizzati al cambiamento. E le strade da seguire, che tutti noi dobbiamo rincorrere, sono tre: più cultura, più solidarietà e più lavoro. Quando parliamo di cultura non ci riferiamo solo alla scuola, ma anche a tutte quelle occasioni che possono esserci per formare le giovani generazioni ad un’esistenza lontana dalla delinquenza e dai falsi miti. Senza il coinvolgimento di tutti e di ciascuno su queste tematiche, le azioni di repressione, di polizia, i bei proponimenti non avranno alcun effetto. Le bande criminali continueranno la loro scellerata missione contro tutta la società che si dice civile.
Bisogna rompere inoltre l’assordante silenzio che c’è intorno a certe tematiche. Come può dirsi democratico, ad esempio, un Paese dove la corruzione ogni anno frutta più di 70 miliardi di euro e l’evasione 150 miliardi? Quel “silenzio assordante” non lo si vince “gridando”, ma educando. E non servono – lo diciamo espressamente al presidente del Consiglio Matteo Renzi – polemiche mediatiche sul ruolo del Sindacato e la delegittimazione sistematica dello stesso. Anzi, uno che vuole, come Renzi, cambiare radicalmente il Paese ha bisogno di rafforzare tutti quei presidi democratici che già esistono e che vanno spronati a fare di più e meglio. Rompere è facile, specialmente nel sociale, in tempo di crisi. Più difficile è provare a tenere insieme gruppi sociali differenti per cultura e stato. Il Sindacato è uno di quei soggetti “di mezzo” che prova ad aggregare in base ad interessi che non sono solo economici. La “confederalità” poi è l’antidoto al corporativismo, ovvero alla centralità dell’interesse di parte. Quando si mettono insieme i professori universitari con i braccianti agricoli, con i metalmeccanici e via dicendo si fa una grande operazione d’unità su obiettivi che vanno al di là degli interessi pur legittimi di rivendicazioni categoriali. Parliamo di democrazia, di condivisione di problematiche, di formazione non solo dei lavoratori, ma soprattutto dei cittadini. E non è neanche vero, come qualcuno interessato a delegittimare per bassi interessi di bottega sostiene, che il Movimento sindacale in questi anni ha difeso gli assenteisti ed i “furbetti del cartellino”. Certo, errori ce ne saranno pure stati, ma l’obiettivo primo del Sindacato è difendere e sollecitare la creazione di posti di lavoro, dando speranze di futuro alle giovani generazioni.
Per far fare al nostro Paese il gran salto di “qualità nello sviluppo” economico e sociale non servono muri, barriere tra chi è in una condizione agiata e chi non ha niente. Serve solidarietà, quella vera. Chi s’illude di alzare steccati, ghettizzando e accomunando povertà e delinquenza, non ha compreso niente. Riuscirà solo a rafforzare la criminalità che sull’emarginazione, sul disagio sociale, sulla disoccupazione, ha terreno fertile per fare adepti.
Un messaggio comune è venuto dalle tante manifestazioni organizzate in Italia per festeggiare il Primo maggio: “le istituzioni democratiche trovino una necessaria unità, mettendo da parte interessi spiccioli e di parte, per recuperare una comunione d’intenti – nell’assoluta trasparenza – indispensabile per creare sviluppo ed occupazione. Insomma, “unità” vera per affrontare e vincere i complessi processi evolutivi del nostro tempo.