Roma si gioca ancora l’eternità tra rifiuti, ladri e sogni olimpici

Via Torrevecchia ore 10 sono stracolmi, sacchetti di rifiuti gettati a terra – Via Torrevecchia ore 10 sono stracolmi, sacchetti di rifiuti gettati a terra – fotografo: mario proto
di Enrico Fierro
Uomini e topi. No, non vogliamo parlare del monumentale libro di John Steinbeck, ma del tragico romanzo della vita quotidiana dei romani. Gli abitanti dell’urbe dividono la loro esistenza con nove milioni di topi. Uno ogni 3 abitanti. Zoccole, pantegane, ratti, topolini. Animaletti e bestie immonde che grufolano nella monnezza e si dividono il pasto con gabbiani, cornacchie, merli, piccioni malati, finanche pappagalli nella zona Appio-latino. Roma città jungla. Roma sporca. Prima di ammorbarvi con numeri e cifre, vi invitiamo a fare un “monnezza tour” per la Capitale. Osservate i cassonetti, sempre colmi, fissate lo sguardo su quelli per la raccolta di vetro, carta e cartone: pieni di monnezza indifferenziata. Guardate lo schifo che c’è a terra. Il bengodi per il grande e grasso popolo dei ratti. I 2.873.976 romani iscritti all’anagrafe nel 2014 (ma superiamo abbondantemente i 3 milioni con turisti e frequentatori di necessità) producono ogni anno 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti (35% organico, 30% carta e cartone, 15% plastica, 8% vetro, 12% varia). A smaltirli ci pensa l’Ama, l’azienda municipale per l’ambiente. 7800 dipendenti. Un pozzo senza fondo. Uno dei feudi di “Mafia Capitale”. “L’Ama c’est moi”, diceva facendosi grasse risate Salvatore Buzzi, il socio di Massimo Carminati. L’azienda era anche il regno della destra e di Franco Panzironi (“er Panza”), l’uomo da 800 e passa assunzioni di amici, parenti e camerati, e generoso finanziatore della campagne elettorali di Gianni Alemanno. A chi la monnezza? A noi. Ma non solo. “Ho trovato un’azienda smarrita, incapace di gestire autonomamente qualsiasi cosa. Il padre padrone era Manlio Cerroni che da decenni decideva e determinava tutto”. Queste le prime parole di Daniele Fortini (un’esperienza “vietnamita” all’azienda dei rifiuti di Napoli), appena nominato Ad dell’Ama. Il riferimento è a Manlio Cerroni, detto “Il Supremo”, re del ciclo dei rifiuti e imperatore di Malagrotta. La più grande discarica d’Europa (240 ettari), un “black hole” che per trent’anni ha ingoiato 5mila tonnellate di monnezza ogni giorno. È chiusa dal 1 ottobre del 2013. Gestione allegra dell’Ama, un esempio piccolo ma non tanto. I cassonetti. Nel 2010 l’azienda ne noleggia 28mila per cinque anni e spende 50milioni, 1783 euro a cassonetto. È bastato che la nuova dirigenza dell’Ama contestasse il contratto e decidesse di fare da sola per arrivare ad un risparmio significativo: acquisto di 47500 cassonetti a 758 euro, costo totale 36 milioni. Ma dove finiscono i rifiuti di Roma? Quelli biologici per il 10% a Maccarese, il resto in quattro regioni del nord (Emilia, Veneto, Friuli, Lombardia), per un costo a tonnellata di 120 euro. Arranca la raccolta differenziata, nel 2013 al 31%, al 43 nel 2014, con una promessa da parte di Ama, di arrivare entro il 2016 al 65%. Fortini è un ottimista, “l’Ama è un diesel ma noi innesteremo il turbo”. I romani passano davanti ai cassonetti debordanti monnezza, si turano il naso e sperano.
Nel 2010 i romani si illusero di aver superato i milanesi. Lavoro, ricchezza, sviluppo, i numeri erano lì a dargli ragione. Se anni dopo lo scenario cambia. L’odiata capitale morale corre. Prendi il mercato immobiliare. La stagnazione è finita, nei comuni capoluogo le vendite aumentano del 7%, a Milano del 14,4, Roma è ferma, immobile, bloccata ad un misero 0,8%. Ma a far scoppiare d’invidia gli abitanti dell’Urbe, sono i dati elaborati da “Population data.net”, che stila una classifica delle maggiori città europee in base a parametri che vanno oltre il numero degli abitanti. Si analizza la vivibilità della città, la possibilità di “usarla” non solo da parte di chi la abita, ma anche di chi viene per lavoro, turismo, attività culturali. Ebbene Milano si piazza al terzo posto tra le città europee, preceduta da Londra e Parigi. Sotto il Duomo la disoccupazione è al 8,4%, all’ombra del Cupolone al 11,3. I milanesi dispongono di 95 km di rete metropolitana, i romani di poco più di 50. E vanno in macchina. Intasano la città di auto private. La avvelenano di fumi e gas. 71 auto ogni 100 abitanti che coprono il 20% della superficie urbana. “E me rimproveri pure? Pendo la macchina, embé? Se aspetto l’autobus invecchio come Matusalemme”. Il giovane utente, che mai e poi mai rinuncerebbe all’uso del suo bolide, ha ragione. Perché a Roma solo il 28,2% dei mezzi in circolazione sono pubblici. Il confronto con le altre città europee è impietoso: Milano, 47% di mezzi pubblici, Londra 47,7, Parigi 63,6, Barcellona 67,7.
Città sull’orlo di una crisi finanziaria. Per la società internazionale di revisione e organizzazione contabile “Ernst & Young”, “Roma Capitale” presenta un disavanzo annuo di 1,2 miliardi. Eppure è tra le città più tassate d’Italia (dal 2010 al 2014 si registra un aumento di 1,6 miliardi), con l’Irpef che svetta ai primi posti delle classifiche del dissanguamento. “Una pressione fiscale inaudita – si legge in un dossier della Cisl – che ha comportato una contrazione dei consumi del 2,5%”. Una vera mazzata per la qualità della vita dei romani e per il commercio. 25mila dipendenti in forza al Comune, 31mila nella partecipate Acea, Ama e Atac. Daniele Frongia, consigliere comunale Cinquestelle e Presidente della Commissione che deve razionalizzare la spesa dell’amministrazione comunale, ha studiato le uscite degli ultimi vent’anni. Il suo giudizio è disperante: “L’abisso finanziario in cui si trova il Campidoglio è frutto di anni ed anni di amministrazione distratta nel migliore dei casi, connivente o corrotta nel peggiore”. Frongia, studioso di statistiche, ha stilato un impietoso elenco degli sprechi. Città dello sport, 600 milioni, Nuvola di Fuksas, già costata 250 milioni, ma ne servono altri 30 per completarla. Il Comune non ha ancora un censimento completo del patrimonio immobiliare, case di pregio affittate a pochi euro al mese a privati, ambasciate, partiti, aziende. Una “disattenzione” che provoca un buco di almeno 200 milioni l’anno. Lievitano i costi delle opere pubbliche, fioriscono i subappalti. La “Metro C” è un pozzo senza fine. Progettata negli anni Novanta, è stata oggetto di 39 varianti che hanno fatto crescere il costo del 160%. Per farla breve, e dopo essersi smarriti tra cifre, delibere, varianti e aggiunte, il costo attuale della metro che dovrebbe risolvere parte di problemi di mobilità dei romani, è arrivato a 273 milioni a km. Il doppio per opere analoghe in Europa. Tanti soldi e tanti sprechi, in una città dove in sette anni (2008-2014) la disoccupazione giovanile è passata dal 17,4 al 33,3%. Oltre 160mila giovani sono Neet, non studiano e non lavorano. “Il lavoro manca – è l’analisi di Lidia Bozzi, presidente delle Acli – e quando c’è, caratterizzato dalla precarietà, rischia di ridursi a mero scambio prestazione-compenso”.
Roma immobile. Roma scettica. Bertolaso o Giachetti, i Cinquestelle o Marchini? La campagna elettorale non scalda i cuori. La nuova frontiera ha il logo delle Olimpiadi 2024. La Città eterna concorre con Amburgo, Budapest, Los Angeles. E sa di non avere le carte in regola. Coni e Comitato organizzatore sbandierano cifre, numeri e ottimismo. Le olimpiadi costeranno 5,3miliardi, ma il pil di Roma lieviterà allo 0,4%, ci saranno 177mila posti di lavoro in più e il reddito delle famiglie romane arriverà a 10,7 miliardi, 3 in più rispetto ad una Roma senza Olimpiadi. I romani non si esaltano. Chi spera, e non ne può più, è un prete di Ostia don Franco De Donno, viceparroco all’Idroscalo. “Sto scrivendo ai commissari straordinari di Ostia e al prefetto Tronca per l’allarme sociale che si scatenerà dopo l’emergenza freddo, quando il 15 marzo i 35 rom sgomberati dallo stesso Tronca con le ruspe dalla Pineta dell’Acqua rossa, non potranno più stare neppure nel tendone allestito dalla Croce rossa. Chiunque sarà il prossimo sindaco dovrà venire qui a parlare con noi, con le associazioni dei volontari che ogni giorno si rimboccano le maniche prima di predisporre sgomberi forzati e violenti. Purtroppo decisioni per ristabilire la legalità come gli sgomberi di casupole di fortuna diventano interventi distruttivi contro la povertà, che ci costringono tutte le volte a ricominciare da capo”. È Roma. La città dove i topi si stanno mangiando lo spazio degli uomini.
pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2016