Quelli che… “la terra dei fuochi non esiste”

La discarica  appartenente al Clan dei Casalesi, scoperta dalla polizia oggi 1 settembre 2011, a Casal di Principe (Caserta). Il terreno dove il clan dei Casalesi avrebbe sversato ingenti quantita' di rifiuti tossici e speciali, a Casal di Principe, e' di proprietà dell'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Curia di Aversa, e, negli anni '80, era stato dato in affitto ad un uomo, ora deceduto, padre di un noto esponente del clan dei Casalesi attualmente detenuto, genero del primo collaboratore di giustizia della camorra casalese, Carmine Schiavone, e cugino di Francesco "Sandokan" Schiavone. ANSA / FELICE DE MARTINO/FRATTARI

La discarica appartenente al Clan dei Casalesi, scoperta dalla polizia oggi 1 settembre 2011, a Casal di Principe (Caserta). Il terreno dove il clan dei
Casalesi avrebbe sversato ingenti quantita’ di rifiuti tossici e speciali, a Casal di Principe, e’ di proprietà dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Curia di Aversa, e, negli anni ’80, era stato dato in affitto ad un uomo, ora deceduto, padre di un noto esponente del clan dei Casalesi
attualmente detenuto, genero del primo collaboratore di giustizia della camorra casalese, Carmine Schiavone, e cugino di
Francesco “Sandokan” Schiavone.
ANSA / FELICE DE MARTINO/FRATTARI

Derubati di tutto, anche del diritto alla verità. Sono gli abitanti di quella parte di Campania che da anni si è meritata l’appellativo di Terra dei fuochi. Una lunga porzione di territorio che abbraccia le province di Napoli e Caserta. Città, campagne una volta cuore di una agricoltura produttiva e competitiva, grossi borghi. Speculazioni edilizie vergognose, centri commerciali e discariche. Regolari e abusive. Conosciute e clandestine. Il più grande disastro ambientale d’Europa, cresciuto in decenni di silenzi e nell’indifferenza generale. Frutto di una alleanza spuria tra grande industria del Nord, politici che governavano queste aree e camorra. Gli ultimi dati ufficiali pubblicati dall’Istituto superiore della sanità, offrono un panorama allarmante. In queste terre si muore giovani, uccisi dal tumore. Vittime i bambini sotto i 14 anni, sono loro ad affollare i reparti di oncologia degli ospedali, loro a morire uccisi da leucemie, tumori che attaccano il sistema nervoso centrale e altri organi vitali. Morti avvelenati nella Terra dei Fuochi dove l’aspettativa di vita è di due anni inferiore alla media della Campania e a quella italiana. Uccisi, si legge nel rapporto, d al l ’esposizione “ad un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi sia solidi urbani”. Basterebbero questi numeri e questi giudizi a far ritenere l’intera vicenda una questione nazionale. E invece. Neppure sui dati c’è accordo. La verità è lontana. Derubata. “Il 97% del territorio campano è sano”, tuonava all’Expo di Milano il governatore Vincenzo De Luca. E via a snocciolare dati. Tutti rassicuranti. Matteo Renzi, dal canto suo, è fiducioso. Ha messo a disposizione 150 milioni per lo smaltimento di 7 milioni di ecoballe che ammorbano paesaggio e aria delle province di Napoli e Caserta.
ORA TOCCA a Vincenzo, “se non è un personaggetto” (Renzi dixit) dovrà fare il miracolo. Padre Maurizio Patriciello, il prete stanco di celebrare i funerali di morti giovani ha il cuore a pezzi. “Avrei preferito essere smentito – scrive – avrei voluto dire vi chiedo scusa, vi ho allarmato inutilmente. Invece avevamo ragione noi. Solo i ciechi, i sordi, i disonesti, gli imbroglioni, potevano dire il contrario”. Povero padre Patriciello, voce urlante nel deserto dell’indifferenza. Poche settimane fa si è dovuto subire le rampogne di un magistrato importante, che in quelle aree vive e ha lavorato, Raffaele Cantone. “Io rispetto don Patriciello – disse il presidente dell’Autorità anticorruzione in una intervista al Foglio-, ma non è un medico, non è uno scienziato, e non è neppure un poliziotto. Si è fatto un collegamento acrobatico tra i rifiuti interrati e l’insorgenza di tumori. Un collegamento smentito dai tecnici”. E il punto è proprio questo: i dati, gli studi tecnici. Tutti contrastanti tra di loro. Tutti elaborati in modo autonomo tra i vari centri di ricerca senza mai una matrice comune, unitaria e unica. Pezzi di verità usati per sostenere tesi ottimistiche o catastrofiste. Nel dicembre 2014 vengono pubblicati dati che parlano di una porzione piccola, il 2%, del territorio campano inquinato e di 64 ettari di terreno agricolo avvelenato e non più adatto alla coltivazione di prodotti. Questo offre l’occasione a Libero e a Filippo Facci di avviare una potente campagna contro il movimento ambientalista e contro “il giornalismo che urla, distrugge e passa via”. Il Foglio, allora ancora diretto da Giuliano Ferrara, non è da meno. Reportage, interviste, torsione di dati e studi scientifici, per dimostrare che quella parte della Campania è solo Terra dei fuochi fatui. Parole al vento, offensive per quanti in quelle aree da anni si battono per avere un briciolo di verità. “Servono analisi più dettagliate, almeno altri due anni di lavoro sul campo e fondi”, avvertono gli specialisti dell’Istituto superiore di sanità. Serve soprattutto serietà, la gente della Terra dei Fuochi ha diritto ad avere analisi e giudizi certi.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano 13 gennaio 2016)