Da Bagnoli alla Apple,Napoli ci riprova (ma quanta fatica)
Matteo Renzi voleva rifilare ai napoletani un “paccotto” ben confezionato e a forma di mela. Non c’è riuscito. È bastato poco, leggere con attenzione il comunicato della Apple, per svelare l’inganno e capire che i 600 posti di lavoro promessi dal premier non arriveranno, nonostante i twee t degli incauti pasdaran del premier sotto il Vesuvio. “Apple porterà a Napoli il primo centro di sviluppo app d’Europa, e di conseguenza 600 posti di lavoro”, scriveva pochi giorni fa con le lacrime agli occhi l’europarlamentare Pina Picierno.
LA FABBRICA. La mela mozzicata e tante chiacchiere Per un po’ i napoletani ci avevano pure creduto, e i pizzaioli più fantasiosi avevano subito sfornato la pizza a forma di mela mozzicata. Poi la realtà. Amara. Il colosso di Cupertino investirà a Napoli, certo, ma per formare 600 studenti che impareranno come sviluppare i sistemi operativi Ios per iPhone, iPad e iWatch. E lo farà utilizzando le competenze e il prestigio internazionale dell’Università Federico II. Insomma, seicento stagisti, un investimento importante e una scelta significativa, ma non posti di lavoro. Cosa fin dall’inizio chiarita da Tim Cook. Ma “se di questo si tratta è veramente poco ”, è stato il primo commento del napoletano Luigi Nicolais, oggi presidente del Cnr, un passato da ministro dell’Innovazione. “È un fatto importante – aggiunge – ma per dare un giudizio complessivo bisogna vedere il piano industriale”. “ Al momento si sa poco – dice ai giornali napoletani Gaetano Manfredi, rettore della Federico II – decidono tutto a Palazzo Chigi”. Andrea Amendola, segretario della Fiom-Cgil di Napoli e della Campania, è cauto: “Che la Apple arrivi a Napoli e non per aprire l’ennesimo store è un fatto positivo. Ma è solo un segnale, torna una grande multinazionale dell’elettronica dopo che dalla regione erano sparite tutte. Ora bisognerà vedere il piano concreto, gli accordi di programma”.
LA SCUOLA. Il futuro ricomincia da Gomorra Le chiacchiere della propaganda durano poco in una città che aspetta da anni un rilancio dopo un ventennio di selvaggia deindustrializzazione. Perché forse è vero quello che dice lo scrittore Erri De Luca: “Napoli ha avuto un passato grandioso e ha energie non solo per partecipare a un futuro, ma anche per precederlo”. È stato così nella storia industriale della città con le prime acciaierie agli inizi del secolo passato, con l’industria aerospaziale e con i colossi dell’ele ttron ica tra Pozzuoli e il Casertano nel dopoguerra. Il futuro c’è già nel cuore della periferia violenta e dolente, a Scampia. Una città nella città che cerca di scrollarsi di dosso l’etichetta di capitale di “Gomorra”, succede al Galileo Ferraris, un istituto tecnico specializzato in informatica, dove il colosso del lavoro in rete Cisco ha deciso di investire 100 milioni per la formazione di amministratori di rete, si partirà con 50 stagisti per arrivare a 200.
LO SCANDALO. Bagnoli, addio ai sogni Rimane Fintecna Il sole del futuro in una città divorata dalla mancanza di lavoro (solo il 40,2% delle persone dai 20 ai 64 anni risulta occupato, il 5,4% in meno rispetto alla media del Sud, e il 19,6 su quella nazionale), può sorgere a Bagnoli. Stiamo parlando dell’area dell’ex Italsider, da anni al centro di programmi di rinascita che hanno bruciato miliardi di vecchie lire, fallimenti, inchieste e delusioni, oggi al centro di un duro braccio di ferro tra il sindaco De Magistris e Palazzo Chigi. Con Renzi che ha commissariato l’intera partita della bonifica, e il primo cittadino arancione che grida all’esproprio e al complotto. Sullo sfondo appetiti speculativi su un’area straordinaria: 200 ettari in pianura e sul mare. L’illusione del Piano regolatore di Vezio De Lucia, che prevedeva una rinascita fatta di alberghi, case, spiagge e un parco di 100 ettari che sarebbe diventato il polmone verde di Napoli, è morta da tempo. Tutto finito negli scandali. Nasce ‘Bagnoli futura’, società ad hoc, che accumula 190 milioni di debiti e divora i 390 miliardi stanziati dal governo, 130 ettari di suolo su 240 vengono sequestrati. Dei vecchi programmi resiste solo Città della Scienza, bruciata nel 2013, e pezzi di archeologia industriale. La realtà è la colmata a mare, tonnellate di scarti industriali dell’acciaieria e della Cementir. Nel 2013 un’ordinanza del sindaco De Magistris ne ordina la rimozione entro un mese, Fintecna, che nel frattempo ha preso in mano la partita di Bagnoli, ricorre al Tar e vince, il Comune si appella al Consiglio di Stato. Il finale di partita è una sentenza salomonica: la colmata va rimossa ma non entro 30 giorni. Risultato il cancro di Bagnoli è ancora lì. Intatto. Fino al decreto Sblocca Italia, col quale Renzi decide di commissariare tutto e di affidarsi a Salvatore Nastasi, 44 anni, capo di gabinetto del ministero dei Beni culturali ed ex commissario del Teatro San Carlo. De Magistris è infuriato. Si sente tradito. Il 14 agosto del 2014 aveva formato un protocollo d’intesa con Renzi e l’allora governatore Stefano Caldoro, che salvaguardava le prerogative del Comune. Dieci giorni dopo cambia lo scenario: scompare il Comune e riappare Fintecna, la società pubblica che cinque mesi prima era stata costretta dal sindaco a risarcire 150 milioni di euro con una ordinanza passata al vaglio del Tar e del Consiglio di Stato. “Il commissariamento di Bagnoli è un atto anticostituzionale. Napoli è città derenzizzata”, tuona De Magistris. “I primi cinquanta milioni stanziati dal governo – replica il supercommissario Nastasi – servono per partire. Vanno aggiunti i 70 milioni destinati a Bagnoli e fermi nelle casse del Comune di Napoli e mai utilizzati”. Controreplica: “Renzi e i suoi fanno finta di dimenticare che la bonifica appartiene ai governi e sono 15 anni che il governo non bonifica l’area ex Italsider”. Nastasi va avanti affiancato da Domenico Arcuri (Ad di Invitalia) e dal program manager Pietro Spirito. In attesa dell’esito dei ricorsi presentati dal Comune, dei tavoli di concertazione (ai quali De Magistris non partecipa) e dei programmi della task force, un dato è certo e inquieta i napoletani: il decreto Sblocca Italia conferisce a Invitalia la proprietà dei suoli dell’area, chiarendo che l’Agenzia del ministero dell’Economia, può aprirsi ai privati formando società miste. Chi deciderà e con quali regole cosa diventerà Bagnoli?
LA CASSA. Equitalia abolita e “aggio” dal 6 al 3,5% Il sindaco continua la sua battaglia. Populista, per i suoi avversari. Giusta per gli aficionados. Tempo ed elezioni decideranno chi ha ragione, per il momento anche Bagnoli dimostra che Luigi De Magistris è croce e delizia della città. Senza sfumature: o lo si ama o lo si contesta ferocemente. Per Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorn o , De Magistris “ha trasformato la capitale del Sud nella Fortezza Bastiani della demagogia e del populismo”. Un fondo di verità c’è, ma forse bisogna intendersi sul concetto di populismo in una realtà come Napoli. Prendi le tasse. Da maggio Equitalia viene sfratta dalla città, nasce “Napoli riscossione”, che curerà le entrate del Comune. 180 posti iniziali, lavoratori provenienti dagli esuberi delle “partecipate”, 300 nei prossimi anni, e un “aggio ” ( la quota sui tributi riscossi) che passa dal 6 al 3,5%. L’annuncio ha fatto presa sui napoletani col fiato di Equitalia sul collo. “Pagare tutti, pagare meno” è lo slogan. Funzionerà in una città che ha una capacità di riscossione media del 66%? Al Comune assicurano di sì, e indicano l’obiettivo di 100 milioni di tributi evasi da recuperare. Anche sui conti del Comune, sindaco e giunta si mostrano ottimisti. L’outlook è passato da negativo a stabile, l’agenzia di valutazione Fitch ha confermato il rating a “bbb” e l’assessore alla Finanze Salvatore Palma giura che “nel bilancio previsionale non ci saranno più le restrizioni previste nel piano di rientro”. Quattro anni fa, dopo un ventennio di governo del centrosinistra, Napoli era sull’orlo del fallimento, il Comune aveva 1,5 miliardi di debiti e un disavanzo di 850 milioni.
I RIFIUTI. La monnezza non si vede (la differenziata poco) Eternamente in bilico. Napoli è così. Vedi alla voce monnezza . La fotografia della città non è più quella dei cumuli al centro. La differenziata è al 29% (67 al centro storico), cifra lontana dal 60% promesso da De Magistris quattro anni fa, ma il porta a porta tocca 300 mila persone. Dove va la monnezza napoletana? “Non più all’estero – giura il sindaco – riusciamo a gestire meglio la situazione facendo funzionare gli Stir (impianti di lavorazione, ndr)”. Prima partivano le navi per l’Olanda a 140 euro a tonnellata, ora delle 500 mila tonnellate di rifiuti solo 30 mila vanno fuori regione, ma in Italia.
I TRASPORTI. L’oscar per la Metro ma l’inferno in superficie E vedi alla voce trasporti. La stazione della metro di via Toledo progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, conquista l’Oscar per l’uso innovativo degli spazi, ma sopra con i bus di superficie è l’inferno. Autobus vecchi sempre affollati, orari raramente rispettati. La Ctp, l’azienda della Città metropolitana, è al collasso con un buco di 15 milioni e neppure i soldi per comprare la benzina dei 200 bus che assicurano i collegamenti con periferie e paesi limitrofi. “Napoli è l’al tra Europa che la ragione cartesiana non può penetrare”. Forse aveva ragione Curzio Malaparte. È difficile capire Napoli.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 31 gennaio 2016)