Giancarlo Siani: ricordo si, retorica no
Trent’anni fa veniva ucciso a Napoli Giancarlo Siani, 26 anni, giornalista de Il Mattino. Trent’anni dopo la città lo ricorda con manifestazioni, dibattiti, pubblicazione dei suoi scritti. E va tutto bene, perché la memoria è un’arma potentissima. Giancarlo era un giornalista, a questa professione aveva dedicato tutto: studi, passione, tempo di vita e suole delle scarpe. Come si faceva una volta, quando le notizie andavano cercate andando sui posti, facendo la muffa dietro la porta di chi poteva darti un’indicazione, confermarti una intuizione. Non c’era internet, dalle procure filtravano pochi verbali e scarsissime erano le intercettazioni telefoniche. E allora dovevi essere lì, nei luoghi dove tutto accadeva, anche se quei posti si chiamavano Torre Annunziata ed avevano un Re al di sopra di tutto. Leggi, Stato e giornali: Valentino Gionta, boss indiscusso della camorra. I Gionta non volevano “rotture”, loro i giornali li leggevano (‘O Mattino e ‘O Roma,) e non si infastidivano quando vedevano stampati i nomi dei loro “cumparielli” arrestati o morti uccisi. Vomitavano bile quando qualcuno, e quel qualcuno si chiamava Giancarlo Siani, andava al di là dell’elenco dei vivi e dei morti. E indagava, ficcava il naso, intrecciava situazioni per offrire quadri di analisi e di lettura più ampi. Insomma, faceva il suo mestiere. In un contesto che era quello degli anni Ottanta in Campania. C’erano i soldi del dopoterremoto (64mila miliardi) e la camorra. Forte era anche la politica. Gava, Pomicino, De Mita, De Lorenzo, Di Donato.I padroni erano loro. Anche de Il Mattino, all’epoca nelle mani del Banco di Napoli. Qui Giancarlo (lo ricorda in un ottimo articolo sul Corsera Goffredo Buccini) lavorava da abusivo (cinque anni a Torre Annunziata senza contratto, un art. 12 per cambio ferie nella sede centrale). Certo, se eri bravo in quegli anni al Mattino dopo una lunga gavetta entravi, ma se eri raccomandato da uno dei potenti Dc o socialisti, era meglio. Va bene quindi il ricordo, è bello vedere i ragazzi di Torre sfilare in corteo dietro gli striscioni col volto sorridente di quel ragazzo giornalista, ma la retorica un tanto al chilo no. La memoria o è completa, totale, oppure è un inganno. Ricordare il passato per analizzare il presente. Nessuno lo fa in questi giorni difficili per Napoli. La città è attraversata da nuove guerre di camorra. E in troppi non hanno capito cosa accade. Le cronache, i dibattiti, le polemiche non offrono nulla di nuovo. Le stesse parole degli anni Novanta, quando sullo scenario criminale si affacciarono altri baby boss, paranze di minorenni. All’epoca si chiamavano Teste Matte e tutti si lanciarono nelle solite analisi. La camorra cambia pelle, la droga ha imposto nuovi e più spietati boss. Fate un confronto tra le parole usate all’epoca e quelle di oggi, le troverete identiche. Sul corpo malato di Napoli sono all’opera illustri cerusici. Rosi Bindi offre un dubbio amletico sulla “camorra elemento costitutivo” della società napoletana. Giorni di polemiche. Il partito di Rosi da una parte e quello anti dall’altra, sullo sfondo le prossime elezioni comunali a Napoli. E poi Gomorra. Sulla serie di Sky si è aperta una guerra. I sindaci, quegli stessi che non hanno visto anni di monnezza e affari, scendono in campo a difesa dell’onore delle loro città e per questo vietano le riprese. Il Questore di Napoli, Guido Marino, che bolla “certi programmi televisivi per niente rappresentativi della realtà che vogliono rappresentare”. Insomma, Lo Stato c’è, anche se non riesce a prendere uno dei boss della camorra in guerra che è da giorni rintanato (così dicono) nelle fogne della città. Parole vuote, crociate di carta, quelle che Giancarlo Siani amava poco. Basta leggere gli articoli che scriveva. Netti, senza sbavature, mai un aggettivo di troppo. Erano notizie. E per quelle si moriva.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 25 settembre 2015)