Il regno di Vincenzo De Luca

de-luca-640

A Salerno la campagna elettorale la fa Gomorra. E con i suoi metodi. I vecchi uomini di panza che vogliono mantenere a denti stretti il controllo del territorio e se ne fottono della rottamazione, sparano. Non perdono tempo in dibattiti. Se ci sono giovani che scalpitano sparano. Gestione, controllo e soldi della campagna elettorale, tutto è cosa loro. Sono loro ad attaccare i manifesti con le facce dei candidati e gli inutili slogan di democrazia, rinascita e legalità. Di tutti: centro, destra e sinistra. E li mettono dovunque, spazi elettorali, cavalcavia, saracinesche dei negozi, bidoni della monnezza, muri.

Tutto è deciso e regolato da norme precise. Se nel quartiere comanda un clan si rispetta la gerarchia, invasioni di campo non sono ammesse. Vietato anche drogare il mercato con improvvisi ribassi dei prezzi. Attaccare un manifesto normale costa 50 centesimi, se il candidato vuole un attacchinaggio soft, tre ore di lavoro a notte, paga 50 euro. Diverso il discorso per l’organizzazione di un comitato, i prezzi partono da qualche centinaio di euro al giorno per la “tenuta”, a diverse migliaia se nel servizio sono compresi anche pacchetti di voti. Chi sgarra paga.

E’ successo martedì e i morti finiti facciabocconi sull’asfalto sono due. Un vecchio boss, Matteo Vaccaro, uscito dalla galera a giugno scorso, chiede spiegazioni sull’affare affissioni a due soggetti, Antonio Procida, detto ‘ cornetto, e Angelo Rinaldi. Ne nasce una discussione. Volano offese, “sei vecchio, ti devi togliere di mezzo”, dicono i due al boss da pensionare. E aggiungono un “sei pure cornuto” che brucia più di tutto sull’onore di Vaccaro che nel 1993 finì in galera per le accuse della moglie. “Due ore e sei morto”, è la risposta.

E così è. I due guaglioni scapestrati finiscono ammazzati, il boss, suo figlio e un complice in galera. “’O cornetto” e il suo socio avevano la gestione della campagna elettorale di Romano Ciccone, detto Lello, un avvocato che ha girato tutti i partiti presenti sulla scena italiana. E’ stato anche assessore di Vincenzo De Luca, il sindaco sceriffo ora candidato alla prima poltrona della Regione Campania. Si occupava di contenzioso e in tasca aveva la tessera della Margherita. Ora è candidato con Forza Italia. Diecimila manifesti con la faccia sua e il poco rassicurante slogan “Insieme da sempre”, stampati e da affiggere, comitati elettorali da organizzare, pacchetti di voti da intercettare.

Tanti denari da spendere e pagamenti da fare rigorosamente in nero. Romano detto Lello si rivolge a Matteo Marigliano, un vero ras del sistema affissioni, vuole il meglio, ma quello ha altri clienti da soddisfare e lo affida alle cure dei due. Illuminare la figura di Marigliano ci consente di capire come vanno le cose nel regno di Vincenzo De Luca, l’uomo che ancora ieri ha giurato che “nelle mie liste non c’è Gomorra”. Marigliano è il fratello del boss Ciro, vicino al clan D’Agostino-Parrella, specialità droga, estorsioni, “recupero crediti”. E’ un fedelissimo di Vincenzo De Luca, forse ha anche la tessera del Pd. C’è anche una inchiesta della procura distrettuale antimafia di Salerno sui nomi sospetti presenti nelle liste degli iscritti al partitone di Renzi.

Matteo in città è considerato uno dei quattro-cinque personaggi che hanno in mano il mercato delle affissioni politiche. Lavora in una delle tante società miste del Comune, il vero e proprio esercito di manodopera di riserva che De Luca, da buon ex marxista, ha messo in piedi. Sono posti, braccia per le campagne elettorali e voti. “So che Marigliano ha fatto attacchinaggio per De Luca”, ha detto al pm Vincenzo Montemurro che indaga su camorra e politica, Lello Ciccone. Matteo Marigliano ha negato e all’interrogatorio si è presentato con la maglietta di “Salerno sistemi”. Un messaggio chiaro, un modo per riaffermare identità e protezioni.

Ma in procura non si fanno impressionare. L’inchiesta va avanti, si cercano i candidati che hanno chiesto il sostegno del racket per la campagna elettorale, girano i nomi di aspiranti consiglieri del Pd, di Forza Italia, delle liste collegate a De Luca. Fioccano ipotesi di accuse per voto di scambio. E tremano in tanti. La verità è che la camorra a Salerno ha sempre fatto politica. E chi si oppone rischia. Rosa Masullo fu assessore nelle giunte De Luca, si mise in testa di fare pulizia nell’assegnazione degli alloggi popolari e le andò male. Dava fastidio al clan D’Agostino che le case se le prendeva e le assegnava, e le misero una bomba sotto casa. Al processo, tre pentiti parlarono di camorra e referenti politici e fecero il nome di Nino Savastano, assessore comunale allora e anche oggi, sempre fedele a De Luca.

Qualche anno dopo Savastano venne assolto dalle accuse e al processo per l’attentato all’assessore anticamorra il Comune dimenticò di costituirsi parte civile. “E’ stata una semplice distrazione”, disse De Luca infastidito dalle polemiche. Da quelle dei giovani del Pd, soprattutto. Teste calde che nel 2009 volevano parlare di anticamorra ed eleggersi un segretario non gradito al sindaco-padrone. Li presero a mazzate: “Iatavenne che qua comanda De Luca”. Erano dipendenti delle municipalizzate e ultrà della squadra di calcio. Accade a Salerno. Qui la camorra non c’è.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano)