Ustica: l’Avvocatura dello stato e l’iniziativa spontanea

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Silenzio. Tacciono tutti, governo e ministri. I morti di Ustica e i loro familiari non meritano neppure una risposta. Tace la Presidenza del Consiglio, sta zitto il ministro della Giustizia Orlando, è silente la ministra della Difesa Pinotti. Inutile insistere e farsi il fegato marcio al telefono, i portavoce sono efficienti portasilenzi. Nessuno ha da dire mezza parole sulla scandalosa iniziativa dell’Avvocatura dello Stato che chiede alla Corte di Appello di Palermo di respingere la richiesta di risarcimento danni avanzata da alcuni familiari ed eredi delle vittime di quella strage e anzi, per sovrappeso, gli presenta il conto salatissimo delle “spese di lite”. Perché quella notte del 27 giugno del 1980 nei cieli di Ustica non si combatté alcuna guerra aerea, come pure sentenze e relazioni di Commissioni parlamentari di inchiesta hanno affermato in questi 35 anni. Tutte suggestioni frutto di campagne mediatiche. Inchieste giornalistiche, libri, reportage televisivi, film che hanno denunciato, scrive l’avvocato dello Stato Maurilio Mango, “spesso senza alcun riscontro, trame e complotti internazionali”. E’ questa la verità che si vuole affermare 35 anni dopo? A questo serve il silenzio di Palazzo Chigi e dei ministeri della Difesa e delle Infrastrutture? Il dubbio è più che lecito e lievita se si presta ascolto alle indiscrezioni che filtrano dagli ambienti del governo. Che si spingono a riassumere tutto l’affaire così: nessuno, né dalle parti dell’ufficio di Renzi, né da quello della ministra Pinotti, ha dato l’input all’Avvocatura per agire con i ricorsi, si tratta di una iniziativa “spontanea” della sede palermitana. Trovato il responsabile risolto il problema, placate polemiche dei giornali (poche, per la verità) e proteste dei familiari. Ma le cose non stanno esattamente così, e solo un bambino, ma a patto che non sia ancora svezzato a digerire le ambiguità della politica italiana, può credere alla favoletta dell’iniziativa spontanea. Perché già due anni fa si tentò di stoppare le richieste dei familiari delle vittime del Dc9-Itavia, ma allora il governo non fu muto e inerte. Parlò Enrico Letta, il pacato Presidente del Consiglio, e fu determinato, chiaro, netto, in modo che tutti intendessero. “Il governo non ha intenzione di impugnare per revocazione la sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato lo Stato a risarcire i familiari delle vittime di Ustica”. Ventotto parole. Certo, l’Avvocatura è autonoma, anche se dipende dalla Presidenza del Consiglio, ma anche due anni fa lo era. Cosa è cambiato da allora ad oggi è un mistero spiegabile solo leggendo alcune soddisfatte dichiarazioni di ex vertici dell’Aeronautica militare. Enrico Letta motivò, con parole altrettanto chiare, il perché dell’atteggiamento del suo governo. “Questa determinazione è motivata da ragioni giuridiche e da ragioni di ordine etico, per il dovuto rispetto alle vittime e ai suoi familiari”. Pochi giorni prima, anche Giorgio Napolitano aveva preso posizione facendo appello “al dovere di tutte le istituzioni di sostenere le indagini tuttora in corso per accertare responsabilità, nazionali e internazionali, rimaste coperte da inquietanti opacità e ombre”. Per l’allora Capo dello Stato e per il governo il punto di partenza era la sentenza della Cassazione che parlava di un missile e condannava lo Stato a risarcire i familiari.”Abbiamo presentato un interpellanza parlamentare urgente, aspettiamo che il governo dia risposte chiare, e forse capiremo se questa inaccettabile iniziativa è frutto dello spontaneismo dell’Avvocatura”, dice Walter Verini, capogruppo del Pd nella Commissione giustizia della Camera. Per Carlo Giovanardi, ora senatore di Area Popolare, la polemica è inutile, l’Avvocatura ha fatto bene, i parenti delle vittime sono stati già indennizzati e “questa è una lotta tra fantascienza e verità tecnica sulle cause dell’esplosione”. I familiari dei morti di Ustica aspettano. Quattro uomini dell’equipaggio e 77 passeggeri, nove bambini. Il più piccolo si chiamava Giuseppe e aveva un anno.
(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano 1 aprile 2015)