Migranti: business criminale

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Matteo Renzi annuncia interventi mirati contro gli scafisti, ma esclude blocco navale e intervento di terra. Presto capiremo come il premier e le altre autorità europee intendono affrontare e vincere la guerra contro i trafficanti di carne umana, per il momento è bene tenere a mente un dato: le organizzazioni che si occupano di questo business criminale dalle coste del Nordafrica agli approdi dell’Europa, Grecia in minima parte, Italia, soprattutto, non sono bande di pirati allo sbaraglio. Si tratta invece di un network criminale potentissimo, in grado di manovrare milioni di euro, con un radicato sistema di alleanze nei vari centri di potere che dominano in Libia. Sbagliando negli anni scorsi sono stati definiti “mafia degli scafisti”, ma dietro gli sbarchi c’è qualcosa più forte e potente di una “normale” organizzazione mafiosa.
Il network è in grado di intervenire nella Libia del caos, trattando con buona parte delle 200 katibe (milizie armate) che controllano pezzi del territorio, come di infiltrarsi nella controllatissima Turchia. Soprattutto per l’acquisto di vecchi mercantili destinati alla demolizione da usare per il trasporto dei profughi. E’ la rotta “igeo-jonica” che serve a trasportare le decine di migliaia di disperati che fuggono dall’orrore siriano. Obiettivo, come ci racconta drammaticamente il naufragio di Rodi, la Grecia, e ancora di più l’Italia. Approdi preferiti, come dimostrano gli sbarchi degli ultimi mesi a Crotone e Reggio Calabria, le coste calabre. Ma è l’Africa del Nord il punto focale del business immigrazione. Non più la Tunisia, come nei primi anni della cacciata di Ben Alì e della rivoluzione dei gelsomini, per l’aumento dei controlli nei porti di Sfax e Monastir, ma la Libia. E’ qui il grande business, perché è sulle coste libiche che si concentra la maggior parte di profughi siriani e subsahariani pronti a partire per l’Europa. “Da 500mila a 1 milione”, la cifra proposta dal procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia. Ora fatta una media di almeno 2mila dollari per profugo (questo è il costo di un “passaggio” verso le coste italiane) si capisce bene la quantità dell’affare e le difficoltà a reprimere il fenomeno. La rete criminale è capillare, si avvale finanche di internet per pubblicizzarsi e di una fittissima schiera di wasit, intermediari, che curano i vari passaggi dell’operazione. Un mediatore tratta anche l’acquisto di gruppi di profughi da altre bande criminali, come dimostrano le recenti inchieste della Direzione antimafia e dello Sco, cerca le imbarcazioni da utilizzare e le case dove ospitare i profughi in attesa della traversata. Al vertice dell’organizzazione il compito di trattare la complicità e la non interferenza dei vari capi tribù libici. Secondo “Futuro contrabbandato”, un dettagliato rapporto dell’organizzazione “Iniziative globali contro il crimine organizzato transnazionale e la tratta di esseri umani”, ci sono intere aree della Libia, quelle della frontiera meridionale col Sahel, dove popolazioni seminomadi come i Tabue e i Tuareg, considerano “il contrabbando di esseri umani come fonte primaria di sussistenza”. Tre le principali rotte verso l’Italia secondo il rapporto. “Il sentiero occidentale”, dove convergono i disperati provenienti da Mali, Gambia e Senegal, quello “centrale”, che raccoglie profughi da Nigeria, Ghana e Niger, infine il sentiero orientale dove passano i migranti di Somalia, Eritrea e Darfur. L’organizzazione lascia poco al caso e all’improvvisazione (Europol calcola che l’80% dell’immigrazione irregolare è gestita da gruppi criminali), ed ha una struttura piramidale. Ci sono gruppi che si occupano della lunga traversata nel deserto a bordo di camion stracarichi che svolgono la prima parte del lavoro. Successivamente i profughi vengono consegnati ad altri segmenti dell’organizzazione che si occuperanno di “ospitare” i disperati su case e capannoni a ridosso delle coste libiche. A loro tocca la vigilanza dei reclusi e il loro sfruttamento come manodopera a basso costo in attesa dell’imbarco. La parte terminale del viaggio, dopo un’attesa che può durare anche mesi, spetta agli scafisti veri e propri. Almeno cinque i porti da controllare (Tripoli, Zuwarrah, Zlitan, Zilten e Misratah), in una realtà dove non esiste un governo stabile, né forze di polizia e esercito affidabili. Come riusciranno governo italiano ed Europa ad affrontare e vincere questa guerra, senza interventi di terra per il controllo delle coste, e senza il blocco navale, lo scopriremo col tempo. Nell’attesa si spera solo di non dover contare altri morti.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2015)