Trent’anni dopo non sappiamo perché quel magistrato doveva essere ucciso
La cosa che più colpisce parlando con Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime della strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985, è il fatto che quando parla di quella verità e di quella giustizia che trent’anni dopo quel botto ancora si insegue, antepone ai suoi familiari l’attenzione verso chi di quella strage era la vittima predestinata, il sostituto procuratore di Trapani, Carlo Palermo. “A 30 anni dalla strage – dice – non sappiamo perché quel magistrato doveva essere così brutalmente ucciso, e non so perché mia madre ed i miei fratellini sono morti”. La mamma sui chiamava Barbara, aveva 31 anni, i fratellini erano due gemellini, Salvatore e Giuseppe di 6 anni. La strage è ancora un capitolo giudiziario aperto, ha raccontato stamane Margherita a un gruppo di ragazzi che stanno seguendo un percorso di riabilitazione dopo personali disavventure giudiziarie. Le sentenze che hanno condannato i mandanti Totò Riina e Vincenzo Virga, il capo della cupola siciliana e il boss capo mafia del mandamento di Trapani, e come esecutori Nino Madonia e Balduccio Di Maggio non hanno fatto luce sul movente. E’ la stessa cosa accaduta per altri delitti e altre stragi. Da quello del pubblico ministero trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sino ad arrivare agli efferati e sanguinosi attentati di Roma, Milano e Firenze del 1993. Passando per l’uccisione di altri giudici, di giornalisti, di altri magistrati, le stragi del 1992. Non c’è una sentenza per tutti questi delitti che dice il perchè, ma il movente è sotto gli occhi di tutti, salta subito agli occhi “la trattativa”. E’ cosa nota che spesso la mafia ha fatto da “service” criminale per altri poteri, è altrettanto sotto gli occhi di tutti la storia di una mafia che mai è stata da sola ma nel suo svilupparsi è stata sempre accompagnata da pezzi dello Stato. Uomini delle istituzioni che possiamo chiamare anche servizi segreti. Carlo Palermo sopravvisse ma per lo Stato fu come fosse morto, non passò tanto tempo che dopo una proposta a cambiar nome e continente, il pm trapanese decise di lasciare la toga e oggi lavora facendo l’avvocato. Con lui restarono vivi ma per sempre feriti nel corpo e nell’anima gli agenti della sua scorta, Nino Ruggirello e Salvatore La Porta (un terzo agente Raffaele Di Mercurio è morto anni addietro di crepacuore, la stessa sorte che ha segnato Nunzio Asta il marito di barbara e il padre dei gemellini). Ruggirello oggi a stento riesce a ricordare quel giorno, ricorda l’obbligo che avevano a portare addosso una sorta di scafandro, “io quel giorno non lo portavo perché mi rendeva difficile la guida, la guida di un’auto che non era nemmeno blindata, una fiat Ritmo”. Quel tritolo usato a Pizzolungo fa parte di una lunga lista di sangue, lo stesso tritolo, uscito da polveriere militari, è stato impiegato sicuramente dalla mafia e dai mafiosi nell’attentato nel dicembre 1984 al treno Rapido a San Benedetto Val di Sambro, per far saltare in aria, poche settimane dopo Pizzolungo, alla vigilia delle amministrative del 1985, la villa dell’allora sindaco di Palermo Elda Pucci, nel fallito attentato all’Addaura al giudice Falcone il 21 giugno 1989. Tutte vicende chiuse, apparentemente risolte, ma che risolte non lo sono. C’è stata l’opera di Cosa nostra ma non è stata solo Cosa nostra a decidere di colpire. I mafiosi hanno avuto altre complicità, una complicità arrivata da uomini di quelle istituzioni che hanno tradito il giuramento di fedeltà alla Repubblica, preferendo andare a servire altre entità, altre “istituzioni” segrete e criminali. Circostanze che non nasconde Carlo Palermo: “Sono ancora troppo potenti le persone che volevano la mia morte, sono lì in posizioni di enorme forza”. Le indagini condotte da Carlo Palermo pur nella brevità della sua permanenza alla Procura di Trapani, appena 40 giorni, l’attentato lo subì a poco più di un mese dal suo insediamento, trasferito su sua richiesta a Trapani da Trento, quelle indagini rilette non sembrano essere così distanti da quelle di oggi, condotte sempre a Trapani da altri magistrati che non a caso in questi ultimi anni hanno subito “pesanti” segnali di intimidazione, giunte nel momento in cui le inchieste hanno conosciuto momenti di grandi passi avanti: mafia, corruzione, controllo degli appalti, riciclaggio e controllo del mondo bancario ed economico, sequestro e confisca di beni. Come dice Carlo Palermo i burattinai, mafiosi e colletti bianchi, sono ancora in auge, gli affari illeciti invece di diminuire sono aumentati, lo dicono le maxi confische decise dal Tribunale in poco tempo, le chiavi di quasi tutte le casseforti sottratte alla mafia erano nelle mani del super latitante Matteo Messina Denaro. C’è poi il clima politico che è quasi uguale a quello degli anni ’80, ieri la mafia non esisteva, oggi il messaggio che vuole essere tranquillizzante ma è solo bugiardo è quello che la mafia è stata sconfitta.
Come ha raccontato il pm Andrea Tarondo la mafia riesce ancora a mandare i suoi uomini “fin dentro al Palazzo di Giustizia, per parlare con magistrati e giudici”, mentre la politica “continua a non saper mantenere la distanza di sicurezza dai mafiosi e i politici stringono mani che non dovrebbero stringere”. Un quadro che può apparire demoralizzante, ma rispetto al 1980 c’è una società civile che reagisce, che protesta, che decide di organizzare la “scorta civica” a favore dei magistrati intimiditi, c’è Libera che in silenzio e senza riflettori e palcoscenici da calcare e con i suoi volontari va nelle scuole, parla con i giovani e con gli adulti: “La mafia però potrà essere battuta – ha detto ancora il pm Tarondo – solo quando tutta la società civile saprà dir di no a Cosa nostra e a tutte le mafie”. Conoscere la verità: “E’ un dovere non solo nei confronti di noi familiari, del pm Palermo e degli agenti della scorta, ma anche nei riguardi di un territorio dove la bellezza è stata sporcata dalle mafie e dagli intrecci tra mafia, politica, impresa, massoneria, servizi segreti deviati”. Le parole di Margherita Asta, quelle pronunciate per domandare “perchè quel giudice doveva essere ucciso” ancora non sono patrimonio di tutta la società civile. A Trapani, ma non solo a Trapani, far memoria è difficile, se batti il tasto ogni giorno da chi ha fastidio ti senti bollare come un professionista dell’antimafia, oppure senti dire a qualche sindaco che di mafia a scuola non si deve parlare per non disturbare il sonno degli studenti. Margherita invece dice questo, fa questa domanda ogni volta che ha la possibilità di parlare, di dirlo. Lo ha scritto anche nel suo libro appena uscito, scritto assieme alla giornalista Michela Gargiulo, “Sola con te in un futuro aprile”, a Trapani verrà presentato la vigilia di Pasqua, alle 17,30 alla Biblioteca Fardelliana. In questi giorni a Erice si celebra il “Non ti scordar di me”, un appuntamento dedicato alle vittime della strage ma anche a chi ogni giorno da ogni fronte contrasta le mafie. E’ un appuntamento che va avanti dal 2008, prima di quella data il 2 aprile era una parata istituzionale e nulla di più, al ricordo per quelle vittime si preferiva organizzare “il festival del cioccolato”. Il sindaco che guida Erice dal 2008 è Giacomo Tranchida, ha convinto in tanti anche fuor dalla Sicilia a far parte del progetto “Non ti scordar di me”. L’area dove oggi c’è solo la stele a ricordo delle vittime diventerà un parco della memoria. Affianco al Comune di Erice c’è Libera, che quest’anno ha giocato anche la carta del coinvolgimento della società con gli eventi sportivi, torneo di pallavolo, gara podistica, sostenuta dall’Uisp.