Peppe Lanzetta:uno che non si arrende

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“Un riconoscimento. Un vero e proprio risarcimento per anni di gavetta, di sperimentazione, di salite e cadute rovinose. Un riconoscimento per la mia faccia, quella che ho scolpito in trent’anni e più di carriera. Le rughe, i solchi che la segnano, lo sguardo e le smorfie che muovono le labbra nel pianto e nella risata, sono il racconto della mia vita e delle vite degli altri che in questi anni ho osservato, scrutato, fissato e rubato”. Peppe Lanzetta è appena tornato da Londra, dove per tre settimane è stato Lorenzo, italiano cattivo, in “Spectre”, il ventiquattresimo film della serie 007 diretto da Sam Mendes, con il premio Oscar Cristoph Waltz e Daniel Craig. Unico attore italiano, insieme a Monica Bellucci.
Una grande soddisfazione per un napoletano del Bronx, Peppe.
“Enorme. Il primo provino l’ho fatto a Napoli con Beatrice Krugher, severissima selezionatrice di casting internazionali. Peppe, tu devi uscire dall’Italia, mi ha detto subito. Poi in Gran Bretagna, un altro provino in inglese, e alla fine la scelta. Sono state settimane entusiasmanti a Londra, la città della mia gioventù, i ricordi, i Led Zeppelin. Tutto tornava lì, un destino amaro per chi come me si ostina a volere tutto dalla sua città, Napoli, e da questa italietta avara, mentre il mondo è altrove”.
Fuggire…
“No, per l’amor di Dio. Resistere. Abel Ferrara me l’ha detto mille volte. Peppe la tua faccia fa fatica a trovare spazio nel cinema italiano. Qui vogliono ritratti e volti rassicuranti, mentre la mia faccia e il mio corpo parlano d’altro, di sofferenze, di brutture, di vite difficili e di periferie scassate”.
Il successo ti è passato accanto molte volte.
“Dopo “L’amore molesto”, il film di Mario Martone, dovevo solo aprire una porta e sedermi. Era il 1995, recitavo accanto ad una grandissima attrice come Anna Bonaiuto e al mio volto era stato chiesto di raccontare la Napoli arruffona e affaristica di quegli anni. Ma non ero preparato e non ce la feci a reggere alla spirale del successo. Gli altri artisti colgono il momento, si organizzano, battono il ferro, io no, appartengo alla categoria di quelli che pensano che la vita non è solo talk-show e si buttano in situazioni esistenziali, si fanno male, lo capiscono e tornano indietro. Ma nel frattempo la musica è cambiata e tocca ricominciare daccapo”.
Hai lavorato con grandi registi, dalla Cavani a Nanni Loy, a Sorrentino…
“E chi se li scorda quei momenti. Ricordo le risate con Mikey Rourke sul set di “Francesco”, lo sguardo perso nelle bellezze di Napoli di Abel Ferrara, il tappeto rosso di Cannes, la magia di Angela Luce con le scarpe in mano che corre su una spiaggia di notte, i complimenti di Peter Del Monte e Marco Tullio Giordana, la scena con Anna Bonaiuto in piscina…Vedi io sono affascinato dal mondo dello spettacolo, ma ho preso le distanze dall’ambiente. A me i salotti non piacciono, meglio un ragù da mia suocera o una pizza fritta con gli amici di sempre. Mi ha salvato la scrittura”.
Iniziata in una stanza a Piazza Dante, nella sgarrupatissima redazione de “La Voce della Campania”, ricordi?
“Certo, e continuata con tanti libri, la scrittura è stata la mia via di fuga”.
Pino Daniele, quando è morto qualcuno gli ha rimproverato la sua fuga da Napoli. Tu non te ne sei mai andato, perché?
“Per egoismo, perché io non so stare senza le rabbie, gli umori, i dolori di questa città. Certo, Napoli rischia di “fotterti la testa”, ma ti dà anche una marcia in più. A Londra ho fatto cantare Napule è a un russo, un algerino e uno spagnolo. Napoli è quella cosa strana che ti consente di mettere su un palco uno dalla pelle nera come James Senese che canta una canzone scritta cent’anni fa da Raffaele Viviani, “Bammenella e coppa e quartieri”, accompagnato al piano da un dio della musica come Roberto De Simone”.
Ora la tua faccia è pronta per un ruolo da protagonista.
“Ci sto lavorando, il progetto è di portare sullo schermo Vincent Profumo, il protagonista di “Infernapoli”, il mio romanzo scritto per Garzanti. E’ un boss, un animale, ma ama la musica classica e ha chiamato le sue tre figlie tutte Maria, in onore della Callas. Però ci vuole un regista che ha fame, voglia di fare, e che se ne fotte delle miserie dei contributi ministeriali. Prima però devo fare una cosa”.
Quale?
“Voglio tornare a Londra con James Senese. Uno che sta tra Miano (periferia di Napoli, ndr) e New Orleans, tra John Coltrane e Wayne Shorter dei Weather Report. Gli ho parlato pochi giorni fa, quando gli ho portato un libretto che ho scritto per Tullio Pironti, “Elogio di James Senese”. E’ d’accordo, c’è stato e ha pure dormito nell’albergo dei Rolling Stones. Ci dobbiamo andare, tanto noi stiamo a Londra come possiamo stare alla Sanità. Da napoletani che non si arrendono”.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 13 marzo 2015)