#PapaFrancescoaNapoli

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Ha voluto abbracciare Napoli il Papa argentino. Si è tuffato nei suoi “mille culure” e nelle sue mille ferite. Ha respirato l’aria pesante di Scampia e la brezza leggera del lungomare. Ha voluto toccarli con mano i napoletani, quelli delle Vele e gli ammalati, i dannati di Poggioreale e i “parenti di San Gennaro” al Duomo, la Napoli di Piazza Plebiscito e i ragazzi del lungomare. Tutti. E a tutti a risposto nella loro lingua “tanto dolce e bella”, Papa Francesco, con un augurio che si tramanda nei secoli dalle famiglie povere dei bassi a quelle borghesi di Chiaia: “A Maronna t’accumpagna”. Gli è venuta bene anche la pronuncia, perché quella parlata, Francesco Bergoglio l’ha sentita nella sua Buenos Aires da ragazzo, dove ancora oggi si parla il lunfardo, un misto di napoletano e spagnolo che fa della capitale argentina la città al mondo più napoletana dopo Napoli.
Dodici ore, una visita lunghissima iniziata alle 6,35 e finita quasi alle sette di sera. Prima tappa Pompei, al santuario dedicato alla Madonna, una preghiera e poi l’atterraggio dell’elicottero bianco a Scampia. Nella piazza dedicata a papa Wojtyla migliaia di persone. “Realtà bella e meravigliosa, ma anche ferita dalla camorra”, dice il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli. Le Vele sono lì a due passi, si intravedono i quartieri bunker dei boss di camorra, in questa stessa piazza, mesi fa, la gente semplice di queste parti pianse Ciro Esposito, il ragazzo tifoso ammazzato a Roma. Il male e il dolore di Napoli hanno il volto di Corazon, immigrata delle Filippine. “Padre Santo – chiede la donna dal palco – essere accolti vuol dire essere riconosciuti, lei ci riconosce e forse, almeno una volta, riusciremo a sentirci importanti”. Parla Michele. Del lavoro che non c’è e della “disperazione quando la sera torni a casa senza aver guadagnato una lira”. Il Presidente della Corte di Appello chiede speranza. “Il rispetto delle leggi è ferito dalla corruzione pubblica e privata”. Il Papa ascolta, nella piazza baciata da un sole primaverile, ci sono bambini, tantissimi, donne e uomini, giovani e anziani, ragazzi. A pochi passi da qui negli anni delle guerre di camorra si uccideva in pieno giorno. Papa Francesco lo sa. “La vostra storia è complessa e drammatica. La vita a Napoli non è mai stata facile, ma non è mai stata triste, perché la vostra forza è la gioia, l’allegria, il male non avrà mai l’ultima parola”. La folla applaude, ritma il nome del Papa, sventola le bandiere vaticane e dell’Argentina acquistate sulle bancarelle abusive insieme alle foto del Papa con lo sfondo del Vesuvio. E’ povera gente che ha bisogno come il pane di parole di speranza che nessun politico, nessun intellettuale, è da troppo tempo in grado di dire. E allora il Papa abbraccia la “sorella migrante” e si chiede: “Sono forse i migranti e i senza fissa dimora umani di seconda classe?”. Scampia risponde in coro: “No”. E il lavoro che non c’è, i giovani che lo cercano. Francesco usa parole che il linguaggio politico ufficiale considera eversive. “C’è un sistema economico che scarta le persone. Che ruba la dignità alla gente, e noi dobbiamo lottare per riconquistare la dignità”. Ma il parto più odioso della crisi è lo “sfruttamento”, il lavoro pagato poco. “E’ schiavitù, non è umano, e se chi fa questo si dice un cristiano, è un bugiardo”. Qui affondano le radici della corruzione. “Una società corrotta, che scivola verso gli affari facili, spuzza (pronuncia male e si corregge) puzza”. Francesco lancia un appello ai napoletani: “Andate avanti nell’opera di pulizia perché non ci sia più il puzzo della corruzione”. Piazza del Plebiscito è già zeppa, almeno 60mila persone aspettano l’arrivo del Papa, alla rotonda Diaz, lungomare, lo stesso scenario con migliaia di giovani in attesa dalla mattina. Il Papa lascia Scampia con “’a Marronna v’accumpagna”. E poi via sulla papa-mobile inseguita dagli scugnizzi verso il cuore della città. Qui Francesco dedica parole di fuoco alla camorra. A chi cede ai “facili guadagni, pane per oggi e fame di domani”. Invita i napoletani a reagire alla corruzione e allo sfruttamento. Ai malacarne dei clan implora di convertirsi “all’amore. Ve lo chiedono le lacrime delle mamme di Napoli”. Saltano i protocolli di sicurezza, la gente vuole toccare il Papa buono, stringergli la mano, fargli accarezzare un bambino. Il viaggio continua a Poggioreale, il carcere-inferno, una “periferia dell’anima”. Papa Francesco pranza con 120 detenuti, ne ascolta le storie. Riflette: “Nel mondo i carcerati sono tenuti in condizioni indegne della persona umana”. Napoli del dolore, che però non uccide allegria e ironia. Al Duomo ci sono anche le suore di clausura, tutte vogliono baciare la mano del Padre Santo. Il cardinale Sepe è divertito. “E cheste so di clausura, mo se lo mangiano. Sorelle, basta tenimmo ‘a fa”. Il Papa butta via il discorso scritto, “è noioso”. E parla della Chiesa questa volta. “Quando nella Chiesa entra l’affarismo è brutto. Quanti scandali in mezzo a noi per i soldi. Un sacerdote non può avere il cuore dove ci sono i soldi”. C’è l’ampolla col sangue di San Gennaro che si scioglie, ma solo a metà. Papa Bergoglio sorride: “si vede che il santo ci vuole bene, ma a metà. Dobbiamo fare di più”. Ultima tappa i giovani sul lungomare. Si parla di famiglia in crisi, di nuove culture. “Scusatemi non ho ricette…”. Il Papa si congeda così da Napoli, col dubbio, la sua Chiesa è senza dogmi, è Chiesa della ricerca. E anche in questo cammino difficile che “’a maronna t’accumpagne”.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano 22 marzo 2015)