Maria Stefanelli: sono ancora prigioniera
(di Giuseppe Legato)
“Ancora oggi, quando vedo qualcuno sotto casa mia e di mia figlia, prendo in mano il telefono. Scorro il numero dei carabinieri, il diretto, comincio a respirare profondo. Io lo so di cosa è capace la ‘ndrangheta e quelli mi cercano ancora. Sudo e tremo, fisso quella sagoma. Penso: è finita, ci hanno trovato, morirò come Lea Garofalo. Quando quell’ombra scompare nel buio vado nella cameretta di Gloria, la guardo: è andata anche stavolta, mi dico. Siamo vive”
Maria Stefanelli, 49 anni, testimone di giustizia nei processi di mafia al Nord, vedova del boss della droga di Volpiano Francesco Ciccio Marando, è una donna in fuga da sempre. Scappa dalla condanna che – a suo dire – la ‘ndrangheta le ha cucito addosso quando nel 1998, è entrata nella famiglia dello Stato e ha lasciato quella della criminalità calabrese per iniziare la sua terza vita “l’unica che vorrei ricordare” racconta. Le altre due sono state un inferno.
Partiamo dalla prima allora.
“Sono nata in una famiglia di mafia di Oppido Mamertina poi emigrata in Liguria. Gli Stefanelli comandavano tutto a Varazze: dal traffico di droga alle estorsioni. Erano i capi assoluti”.
Chi era il capo?
“Mio zio Antonino, quello che mi violentava quando ero ancora piccola. Mi ha rovinato l’esistenza. Mia madre sapeva e stava zitta. Ricordo ancora quando lui chiudeva la porta della cameretta. Gridavo: mamma tu sai tutto, perché non vieni a salvarmi?. Lei usciva a comprare il pane”
Che fine ha fatto suo zio?
“E’ stato ucciso insieme a mio fratello Nino dai fratelli di mio marito. E’ successo a Volpiano nel 1997”
Perché lo hanno ammazzato?
“Perché mio zio e mio fratello avevano ucciso mio marito l’anno prima nel 1996 in Val di Susa. Le mie famiglie di fatto si sono sterminate a vicenda”.
Quanto ha sofferto per la morte di queste persone?
“Quando hanno ucciso mio zio e mio marito ho provato un senso di liberazione. Per mio fratello ho pianto, spero ancora che i Marando dicano dove l’hanno sepolto. Vorrei poter portare un fiore sulla sua bara”.
Quando ha sposato un capomafia sapeva a cosa andava incontro?
“Eccome se lo sapevo, ma certe cose non te le scegli. Il fatto che siamo cresciuti in Liguria e non a Platì sull’Aspromonte, non incide minimamente sulle possibilità di una donna di emanciparsi in certe scelte. Se nasci in una famiglia di mafia non conta la geografia, la certezza di non poter dire no non ha confini. Per capirci: o lo sposi o lo sposi”.
Come ha conosciuto suo marito?
Era latitante, passò da casa nostra. Lo arrestarono poco dopo, vidi la sua foto sul giornale. Mi mandava lettere dal carcere. Vidi in lui la speranza di poter sfuggire dall’Orco. Mi dissi: peggio di cosi non può andare e tu Maria, non potrai mai innamorarti di un ragazzo di Genova. Ci sposammo in comune a Leinì, lui arrivò sul blindato della penitenziaria. Firmò con le manette. Iniziò la mia seconda vita, passai dalle fiamme all’inferno”.
Come vive una donna di mafia al Nord?
“Come vivrebbe nella locride. E’ un souvenir da esibire come un possesso, uno strumento per raggiungere lo scopo principale: fare figli maschi e proseguire la genia. La donna che parla poco, che trasmette ai figli il mito del padre pur cosciente delle nefandezze di cui si macchia, che incita alle vendette. Ecco questa è la donna di mafia a Volpiano o a Reggio, nulla cambia ”.
Lei si è comportata cosi?
“Lo facevano tutte. Io no, io – da piccola – volevo fare la poliziotta”.
I suoi parenti dicono che lei è pazza…
“Chi esce dalla famiglia o è pazzo o è infame. Delle due, una”.
Avrebbe potuto confidarsi con qualcuno per sfuggire a questa prigione. Per esempio andare dai carabinieri..
“Ma io non sapevo che lo stato avrebbe potuto proteggermi. Molte donne di mafia allora, ma anche oggi, non lo sapevano. Pensavo mi avrebbero arrestata perché ero la moglie di un boss”.
Avrebbe potuto confidarsi con qualcuno in paese allora..
“Ma si figuri. Guardi che a Volpiano tutti sapevano chi erano i Marando. Ne avevano il terrore non mi avrebbero mai aiutata”.
Perché è certa che nessuno le avrebbe dato una mano?
“Bastava vedere come la gente comune riveriva le mie cognate che uscivano per strada a fare la spesa. Anche negli screzi più piccoli la gente evitava qualsiasi discussione. Non una parola per far valere le proprie ragioni. Sia chiaro: io ho sempre compreso la loro paura, la condividevo per prima nel mio intimo. Non ho mai potuto accettare però l’atteggiamento di chi cade dalle nuvole quando esce la foto sul giornale il mattino dopo. Il volto della mafia, qui, annega nella speranza che certe storie non li riguarderanno mai. Sono cose loro, dicono. Se la vedono tra loro. Per la ‘ndrangheta questo è stato il segreto del successo: avere rispetto e sottomissione senza nemmeno chiederli. E si sono presi tutto”.
Tutto cosa?
“Il mercato della droga ad esempio in cui i Marando sono entrati coi sequestri di persona. Coi soldi a palate che facevano potevano comprare tutto e tutti. E lo hanno fatto: consulenti, avvocati, medici compiacenti, portieri d’albergo, carte d’identità false. I soldi, qui al settentrione, sono sempre stati un passepartout, Non gliene è mai fregato niente a nessuno che fossero sporchi di sangue. Più volte ero io a portare le valigette con 200 milioni a consulenti incaricati di far concedere i domiciliari a mio marito.”
Che ricordo ha di suo marito?
“Era un uomo elegante e pure bello, ma mi riempiva di botte. Una volta ho abortito al quarto mese perché mi prese a calci. Fu terribile: rimasi con questo fagottino in mano in una pozza di sangue. I suoi familiari si preoccuparono solo di chiamare una donna di fiducia per la raschiatura dell’utero. Era un violento, se avesse saputo allora della mia omosessualità mi avrebbe fatta sparire in un attimo”.
Lei non ha mai detto a nessuno della sua famiglia di amare un’altra donna?
“Mai. Sarebbe stata una vergogna insopportabile: Per loro oltre al tradimento ci sarebbe stata una devianza, una malattia. Questo hanno sempre creduto degli omosessuali. Questa gente, pur vivendo al Nord, non supera certe ancestralità. La famiglia di ‘ndrangheta qui è paradossalmente più chiusa che in Calabria,. Deve resistere alla modernità per trasmettere alle nuove generazioni il rigido protocollo dell’organizzazione. Poi certo c’è tanta ipocrisia. Ho visto cose..”.
Cosa ha visto?
“Mia mamma tradiva mio padre con suo fratello e anche tra le mie parenti, sposate coi boss, ce n’erano alcune con la fama – credo vera – di donne allegre”.
Oggi invece questi segreti sono tutti su un libro Mondadori. Perché lo ha fatto?
“Perché ho trovato la persona giusta che ha saputo ascoltarmi. Per liberarmi, per me è stata una catarsi. Ho vomitato tutta la spazzatura che mi hanno fatto ingurgitare, ma soprattutto l’ho fatto per Gloria. In tanti anni non ho mai trovato il coraggio di raccontarle tutto. E ho sbagliato. Un giorno mi disse: vorrei andare a Platì e far trasferire la bara di papà a Torino. Lì capii che avrei dovuto raccontarle la storia vera, che l’ho fatto per lei, perché crescesse libera. Io sono ancora prigioniera”.