A proposito di editori, giornalisti e querele
Premessa: non uso mai questo o altri social network per parlare dei fatti miei, meno che mai per annunciare la pubblicazione di articoli, non critico chi lo fa, ma a me non piace mettere in piazza i casi miei, e gli articoli che scrivo si possono leggere su un giornale. Se si è interessati, basta acquistarlo. Questa volta, però, visto che il caso personale può diventare di interesse pubblico, vi racconto una vicenda che mi riguarda.
I FATTI
Nel 2007 l’editore ALESSANDRO DALAI mi chiede di scrivere un libro su un omicidio politico mafioso, nasce così “AMMAZZATI L’ONOREVOLE. L’OMICIDIO FORTUGNO, UNA STORIA DI MAFIA, POLITICA E RAGAZZI”, per la casa editrice BALDINI CASTOLDI DALAI EDITORE, 311 pagine, prezzo 16,50.
Il libro parla dell’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, ucciso a Locri nel 2005, al centro della storia gli scandali della sanità calabrese e gli intrecci perversi tra mafia e politica, sullo sfondo la ribellione dei giovani, le speranze, gli inganni e i tradimenti. Nel 2007 una serie di personaggi citati nel libro querela me e l’editore chiedendo risarcimenti mirabolanti.
Dalai incarica uno dei più prestigiosi avvocati milanesi, Caterina Malavenda, che a sua volta si appoggia sull’avvocato Luigi Pasini del foro di Padova, città dove il libro è stato stampato. Dopo sette anni (i tempi della giustizia sono questi), la causa si conclude con la mia piena assoluzione. I querelanti mi chiedevano centinaia di migliaia di euro di risarcimento, all’editore Dalai si spingevano fino a pretendere cifre che superavano il milione. Assolto, quindi, e con una motivazione secca: “È indubbio che i fatti riferiti siano di interesse pubblico”. C’era un interesse pubblico a sapere e io mi sono limitato ad esercitare il diritto di cronaca riferendo fatti documentati, non voci apprese in qualche corridoio.
Appena l’avvocato mi informa dell’esito del processo telefono all’editore Dalai che si mostra contento e soddisfatto (anche per la richiesta di risarcimento che lo coinvolgeva), registro, però, un netto cambiamento di umore quando gli dico che bisogna pagare i nostro avvocati, Malavenda e Pasini che per sette anni ci hanno difeso facendoci vincere.
A quel punto Dalai mi dice che lui non può pagare, “sono sotto fallimento”, e mi invita a rivolgermi alla nuova casa editrice la BALDINI CASTOLDI, gestita da suo figlio insieme ad altri soci. Cosa che faccio, parlo con una funzionaria (la stessa che per la vecchia casa editrice aveva curato il mio libro, e la stessa che dalla nuova casa editrice mi aveva inviato una copia in pdf del testo per poterla allegare agli atti del processo), e ottengo una risposta netta: “Noi siamo una nuova casa editrice e non ci facciamo carico delle vecchie pendenze”.
Richiamo ALESSANDRO DALAI ma con scarso successo: da quel momento sparisce, si volatilizza, evidentemente ha segnato sulla rubrica il mio numero di cellulare ed evita di rispondere. A questo punto si trattava di pagare gli avvocati, due persone che comunque avevano lavorato per me. Cosa che ho fatto, ovviamente, per educazione personale (non mi piace lasciare pendenze in giro) e per quella antica abitudine civile ad onorare i debiti.
Aggiungo di aver goduto dell’amicizia dell’avvocato MALAVENDA e della cortesia dell’AVVOCATO PASINI che ha ridotto al minimo l’onorario, ma la parte delle spese processuali era comunque elevata, almeno per me e per le mie finanze. Ho pagato, non potendo fare altro, anche per un editore FALLITO, non solo dal punto di vista formale, ma soprattutto dal punto di vista UMANO.
Ho sottratto una somma per me consistente dal bilancio familiare, un bilancio normale, fatto di soldi che servono a crescere i figli, ad occuparsi della loro educazione e della loro salute, elemento, quest’ultimo, che in questo periodo mi procura non poche preoccupazioni. Ho pagato per un libro per il quale non ho incassato un euro, e lo dico a qualche miserabile calabrese che anni fa mi accusò di essermi addirittura arricchito, o a qualche provocatore ligure che fece una campagna contro di me definendomi un depistatore.
Questa è la storia, personale ma non tanto, perché racconta di editori infedeli e miserabili, di fallimenti farlocchi, e di libri che parlano di mafia. Mi verrebbe da dire ai colleghi più giovani per età ed esperienza di non scrivere libri su boss e malapolitica, ma non lo faccio. Scrivete, scriviamo, pubblichiamo e raccontiamo tutto, ma con una sola avvertenza: scegliamoci bene l’editore.