Apartheid Castelvolturno: bianchi e neri, stesso ghetto
Dimitri Russo, giovane sindaco di Castel Volturno, sta elaborando grafici, tabelle, numeri che porterà all’incontro di oggi col ministro dell’I n t e rno. E forse, finalmente, Angelino Alfano, titolare del Viminale a tempo perso, capirà che tra Roma e Napoli lungo l’antica via Domitiana, tra villette sgarrupate , cumuli di monnezza e coste bagnate da un mare fetente, c’è una bomba pronta a esplodere. Un Sudafrica d’altri tempi che si ripropone qui: i bianchi da una parte, i neri dall’altra, facce feroci che si guardano con odio. Il rancore che impedisce a tutti di vedere lo schifo in cui sono stati precipitati. La scintilla c’è già stata domenica sera, quando due ivoriani sono stati gambizzati da due bianchi, Pasquale Cipriani e suo figlio Cesare. Due vigilantes che hanno fermato i neri accusandoli del furto di una bombola di gas. Quelli, due trentenni, uno dei quali richiedente asilo politico, hanno reagito aggredendo il più anziano. “Tenevano i bastoni in mano, volevano uccidere. Hanno fatto bene a sparargli rint’e cosce”, ti racconta chi c’era e ha visto.
LA SPARATORIA fa scattare la reazione. In un colpo esplode la rivolta degli africani. Cattiva, rabbiosa, feroce, senza limiti. Tre auto bruciate, l’assalto alla casa del vigilantes, il fuoco che ha rischiato di uccidere una ragazza di quindici anni. Il giorno dopo, è la controrivolta dei “bianchi”. Un inferno, fiamme sulle quali sono in tanti a soffiare. Anche la camorra, o quel che resta di clan allo sbando. Perché basta chiedere in giro e ti raccontano che qui, tra Castel Volturno e Mondragone, la ‘guardianìa’ delle villette e dei parchi abitativi è un vero affare, da anni nelle mani della famiglia Cipriani, con Lorenzo, fratello di Pasquale, nei guai per associazione camorristica perché ritenuto vicino al clan La Torre. Ma anche i neri non scherzano. In mezzo alla massa di gente onesta che tira avanti la vita spaccandosi la schiena raccogliendo pomodori nei campi, o arrampicandosi sulle impalcature nei cantieri edili senza alcuna tutela e per quattro soldi, ci sono i boss. Quelli che gestiscono le piazze di spaccio della droga e quelli che sono padroni del fiorente business della prostituzione. La Domitiana è il più grande bordello a cielo aperto d’Italia: di giorno carne bianca e dell’Est, di notte carni nere. “Quanti immigrati ci sono? Impossibile dare un numero esatto”. Il sindaco di Castel Volturno fa due conti. “Siamo 25 mila residenti ma produciamo monnezza come se fossimo in 80 mila, la media in Campania di produzione pro capite di spazzatura è di 150 chili, da noi di 900. Penso che qui ci siano non meno di 15mila immigrati, tra regolari e irregolari. Questa zona è diventata una sorta di grande discarica sociale con il consenso dello Stato. I neri non sono la causa del degrado, ma l’effetto dell’abbandono di queste terre”. Fino agli anni Novanta qui si viveva di turismo, almeno 300 mila presenze l’anno, una villetta ad agosto costava sui 5 milioni di lire. Poi il degrado, la grande truffa del risanamento dei Regi Lagni (i vecchi canali di scolo borbonici) che oggi scaricano liquami e fetenzie direttamente a mare, le illusioni del villaggio Coppola Pinetamare, il porto turistico e la nuova darsena. Ora le seconde case sono abbandonate, i proprietari le affittano in nero: cento euro per un posto letto. Le altre vengono occupate, non c’è acqua, né elettricità, ma ci vivono centinaia di immigrati. “Lo Stato non c’è, dove sono i progetti, le politiche di integrazione? Se il governo mi propone altri poliziotti o addirittura i militari mi infurio. Amministriamo un comune che ha una estensione di 72 chilometri quadrati con 15 vigili urbani e non abbiamo neppure le divise, per non parlare delle macchine, ormai ridotte a rottami ambulanti”. “Lunedì – ci dice Rosalba Scafuro, insegnante e vicesindaco – ho visto la foto della nostra solitudine. I bianchi da una parte, i neri dall’altra pronti a scannarsi. In mezzo noi e le forze dell’ordine”.
QUI È UNA GUERRA senza fine, il nemico è subdolo, ha mille volti e radici antiche. Il suo nome è degrado, brutture, schifo partorito dall’ab – bandono e da una politica che ha disegnato e promesso piani di rinascita, risanamento e ritorno al turismo, ma solo per depredare risorse pubbliche. E come nelle zone di guerra c’è l’ospedale di Emergency. Un bus granturismo rosso fuoco è parcheggiato a pochi metri dall’in – gresso di uno stabilimento balneare. È un clinica mobile, rinfrescata bene e attrezzata meglio: l’unico punto di bellezza in questa grande bruttezza. “Qui facciamo medicina di prossimità – ci racconta Michele Iacoviello, il coordinatore – vengono immigrati ma anche italiani, tutta gente esclusa dal diritto alle cure”. “Arrivano giovani immigrati ipertesi, vittime di alimentazioni approssimative, pieni di dolori articolari, distrutti dallo stress e dalla fatica. Ma la maggior parte ti confessa di avere il dolore dell’anima, chiedono pasticche, ma la vera cura sarebbe l’ascolto”. La dottoressa Susanna Mainetti ha poco tempo da sprecare con noi. Fuori, sotto il sole, c’è già la fila di gente che ha bisogno di un dottore. E sono bianchi e neri.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 16 luglio 2014)