La mafia ha ammazzato Mauro Rostagno
Traditi dal genoma del Dna. Anzi da due genomi. Condanna all’ergastolo sancita dal Dna per Vincenzo Virga e per Vito Mazzara, conclamati mafiosi e assassini trapanesi, che ai già non pochi “fine pena mai” per delitti e stragi compiute nella provincia di Trapani da Cosa nostra, adesso se ne ritrovano un altro, per il delitto di Mauro Rostagno, ex di Lotta Continua, fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman, sociologo e giornalista, ammazzato a Trapani, nella campagna di Lenzi, il 26 settembre del 1988. La Corte di Assise di Trapani presieduta dal giudice Angelo Pellino, a latere Samuele Corso, ha impiegato oltre 48 ore per arrivare alla decisione letta ieri a tardissima ora nell’aula bunker Giuseppe Montalto del carcere trapanese. Accolta la tesi dei pm, Francesco Del Bene e Gaetano Paci. Virga e Mazzara colpevoli. Incastrati dal Dna. Anzi il Dna ha incastrato Mazzara, Virga dalle accuse dei pentiti. Virga ha ucciso per ordine a sua volta di don Ciccio Messina Denaro, il patriarca del Belice, per il quale il Rostagno giornalista era diventato una camurria. Per uccidere è entrato in azione Vito Mazzara uno che andava ad ammazzare con Matteo Messina Denaro. I periti, Carra, Simone e Presciuttini, hanno individuato sui resti della canna di fucile trovata sul luogo del delitto il “genoma” di Mazzara portandolo in aula, proiettandolo attraverso sofisticati programmi informatici. Anzi di tracce ne hanno trovate due, quella di Mazzara e quella che non poteva che per conformazione appartenere, hanno spiegato, ad un suo parente. Perizia robusta che ha resistito all’assalto di due super consulenti a difesa degli imputati mafiosi, gli ex comandanti del Ris di Parma, gli ex ufficiali dei carabinieri Garofalo e Capra. Un accertamento quello del Dna che si è aggiunto alla prova con la quale il processo ebbe inizio, cioè la “firma” balistica della mafia, trovata sui resti dei colpi esplosi rinvenuti dove Rostagno era stato ammazzato. Firma che veniva fuori dalle prime comparazioni balistiche che mai nessuno dall’ottantotto in poi avevano compiuto e che vennero condotte grazie all’arguzia di un ispettore di polizia vecchio stampo, Leonardo Ferlito, che fece notare all’allora capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Linares, come il delitto Rostagno era rimasto fuori da decine e decine di confronti balistici.
Il confronto balistico ha visto sovrapporre il delitto Rostagno con altri omicidi per i quali Mazzara è all’ergastolo. Elementi a portata di mano ma non presi in considerazione. Tutto questo, ulteriore conferma di una condotta investigativa, per lo più appartenuta ai carabinieri, che per anni ha messo da parte l’ipotesi del delitto di mafia. Mafia, massoneria e politica erano oggetto dell’attenzione giornalistica di Rostagno, anima di Rtc, tv di Trapani. In anni cruciali per la trasformazione della mafia, Rostagno puntava contro chi la nuova Cosa nostra si era affidata, il mazarese Mariano Agate, scoprendo i suoi incontri con massoni e con Licio Gelli. E Agate , da poco scomparso, non era altro che l’alleato più forte e fedele di capi mafia sanguinari, Totò Riina e Francesco Messina Denaro. Rostagno con i suoi reportage li metteva alla berlina. Troppo da sopportare per chi pretendeva di “governare” il territorio. Rostagno venne ammazzato in un settembre insanguinato dalla mafia, il 143 settembre a Trapani ammazzano il giudice Giacomelli, reo di avere confiscato un bene al fratello di Riina, il 25 settembre a Caltanissetta ammazzano il giudice Saetta e il figlio, l’indomani toccò a Rostagno. Sequenza di delitti, strategia chiara di attacco allo Stato. Circostanze sfuggite a chi doveva indagare. E adesso ci si chiede il perché. Non è stata, si capisce dalle molte ore trascorse dai giudici in camera di consiglio, e si sapeva, una discussione facile e agevole. La pista della mafia non è risultata una pista comoda come l’avevano definita, bocciandola,gli avvocati Vito e Salvatore Galluffo, Giuseppe Ingrassia e Stefano Vezzadini, i difensori degli imputati, ma quella più complessa, alla quale la Dda di Palermo e la Mobile di Trapani sono arrivati dopo anni e anni di indagini su altre piste però, inchieste andate a vuoto e tra queste anche quelle pure malfatte e depistate. E durante il processo Rostagno questo è venuto bene fuori, tanto che la Corte ha disposto una serie di trasmissione di atti alla Procura nei confronti anche di un maresciallo dei carabinieri, Beniamino Cannas, per falsa testimonianza, ma anche per Leonie Heuer moglie di Angelo Chizzoni, generale dei servizi segreti che sarebbe stata bugiarda nel negare la conoscenza con Rostagno. Ipotesi di falsa testimonianza anche per altri: per il giornalista trapanese Salvatore Vassallo, per Caterina Ingrasciotta la vedova di Puccio Bulgarella l’editore di Rtc, per tre soggetti, Liborio Fiorino, Salvatore Martines e Rocco Polisano che si potrebbero essere prestati a coprire il commando che uccise Rostagno, per Antonio Gianquinto, massone, che in aula non sarebbe sfuggito alla regola del “non vedo, non sento e non parlo”, ipotesi di falsa testimonianza anche per un altro massone, Natale Torregrossa e infine per un sottufficiale della Finanza, Angelo Voza. Mauro Rostagno correva seri pericoli ma nessuno se ne sarebbe preoccupato. Soprattutto di chi all’epoca svolgeva ruoli importanti nella magistratura e tra gli investigatori. Ancora più grave poi il fatto che ucciso Rostagno con le prove a portata di mano i carabinieri andarono a cercare movente, mandanti ed esecutori fuori dalla mafia. Un concerto di responsabilità che a metà degli anni ’90 portò alla famosa operazione “Codice rosso” e a clamorosi arresti come quello di Chicca Roveri: “Mi dicevano che la mafia non esisteva e certo perché indagavano su di me”. Rostagno non è stato ucciso perchè voleva fare del giornalismo investigativo ma perchè raccontava e le sue parole potrebbero raccontare ancora oggi, i suoi editoriali potrebbero essere rimandati in onda adesso, restano attuali. Sono punti per ripartire. Per fare quella rivoluzione contro le mafie. Dalla Sicilia c’è un vento che è tornato a soffiare e il “battere di una sola mano” che non è soltanto il titolo del libro che Maddalena Rostagno ha dedicato al padre, potrebbe scandire i tempi nuovi dell’antimafia.