Passi di memoria, passi di impegno.

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“Ma com’è scendete tutti a Latina?”. Il controllore del regionale proveniente da Roma Termini è incuriosito dalla massa di persone che questo sabato mattina, evidentemente in eccesso rispetto alla media giornaliera, si dirigono nel capoluogo pontino. “E’ per la manifestazione di Libera, contro la mafia, conosce?” risponde una signora seduta vicino. E la stazione è in effetti affollata, cosi come il piazzale che accoglie i pullman provenienti un po’ da tutta Italia. Sabato 22 marzo, Latina accoglie la diciannovesima Giornata di impegno e memoria per le vittime di tutte le mafie, organizzata da Libera e Avviso Pubblico, sotto un cielo plumbeo ed un’aria immobile. Piccoli gruppi giungono dalle vie laterali ad ingrossare il corteo diretto verso Piazza del Popolo, per ascoltare l’atteso intervento di Don Luigi Ciotti, che ben presto diviene di dimensioni imponenti. Ci sono le scuole, quelle della città ma anche da fuori regione, ci sono gli amministratori locali che sfilano con la fascia tricolore, ci sono associazioni e privati cittadini che hanno deciso di trasformare un sabato mattina di fine marzo in un momento di testimonianza. E ci sono loro, i familiari delle vittime, che sfilano assorti portando in mano le foto e i nomi dei loro congiunti uccisi per mano delle associazioni criminali. Il 70% di loro, ricorderà più tardi Don Ciotti, ancora non conosce la verità sulla scomparsa dei loro cari. E chissà se mai, a quale costo, la conoscerà. E’ questo un vuoto incolmabile, un gap di giustizia di giustizia e diritti civili che è difficile nascondere ed ipocrita minimizzare. Cittadini di Serie A, cittadini di Serie B. Ed allora non sarà la soluzione, ma vale la pena camminare – perché camminare aiuta a riflettere – mentre si ascolta la lunghissima lista dei nomi delle vittime, più di novecento, pensando anche a quelle a cui non è spettata nemmeno la dignità del ricordo, uccise due volte, dalla mafia e dall’oblio. La lettura prosegue sul palco allestito in Piazza del Popolo, che non riesce a contenere le centomila persone che hanno formato il corteo. Al microfono si avvicendano anche il magistrato Gian Carlo Caselli ed il Presidente del Senato Pietro Grasso. Alla fine, un applauso scrosciante e commosso saluta questa lista ed accoglie Don Luigi Ciotti. Un discorso impegnativo, il suo. Privo di retorica, concreto, che inizia affermando che è nostro dovere “saldare la testimonianza cristiana con la responsabilità civile. Dobbiamo essere umili, dobbiamo avere il coraggio di essere umili e di sbagliare”. Ed è dovere innanzitutto delle istituzioni religiose non tacere, non avere timore di schierarsi dalla parte giusta. E ci suggerisce di prestare più attenzione alle parole, a preservare e a non svendere il loro valore . Legalità, antimafia, solidarietà, sono parole impegnative ma vuote se non si traducono in una testimonianza quotidiano. “C’è chi ha costruito sulla parola antimafia una falsa credibilità”, ammonisce Don Ciotti, “tutti dicono noi, ma vogliono e pensano io”. E’ un discorso difficile ma indispensabile, un’autocritica quanto mai attuale verso chi utilizza la lotta alle mafie non come fine ma come mezzo, mezzo innanzitutto di auto affermazione e successo.  E poi, sulla giustizia e sulla necessità di una legge anticorruzione più chiara ed incisiva: “I tribunali possono assolvere, ma noi familiari non assolveremo mai quanti abbiano avuto frequentazioni con i mafiosi, che sono andati a braccetto con loro, anche quando tutto è passato per prescrizione. Sono furbi, loro. Ma noi lo saremo di più”.