Isochimica e il sequestro del 1989

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«Mi resi conto dell’inerzia della magistratura avellinese, per questo decisi di andare avanti con la mia indagine e sequestrare l’Isochimica». A parlare è Beniamino Deidda, il pretore di Firenze che nel 1989 pose i sigilli alla fabbrica killer, un’inchiesta del passato i cui atti sono stati acquisiti nei giorni scorsi dalla Procura di Avellino.

Dottor Deidda come nacque quell’inchiesta relativa all’amianto sui treni?
«Tutto ebbe inizio con la denuncia di circa 300 lavoratori delle Officine Grandi Riparazioni di Porta al Prato relativa alla presenza di amianto sulle carrozze ferroviarie. Nacquero le prime indagini, poi durante il processo comprendemmo l’entità del disastro. C’erano già 89 dipendenti delle ferrovie morti per mesotelioma».

Da Firenze ad Avellino. Quando la sua attività investigativa si allargò fino a toccare l’Isochimica di Elio Graziano?
«Durante il corso delle indagini. La maggior parte delle carrozze da scoibentare arrivano all’Isochimica grazie ad un appalto miliardario che Graziano aveva ottenuto da Ferrovie dello Stato. Da Avellino poi le carrozze ritornavano a Firenze ancora piene di amianto mettendo a rischio gli operai delle Grandi Officine. Era necessario accertare se nell’Isochimica c’era o meno violazione delle norme imposte per quel tipo di lavorazioni. Fu il giudice a decidere che la Pretura di Firenze poteva occuparsi del caso Avellino perché il reato continuava avendo ripercussioni sui lavoratori toscani».

Come riuscì a mettere, nel 1989, i sigilli all’Isochimica?
«Arrivai ad Avellino con gli esperti e i periti che avevo nominato. Il sopralluogo durò circa 24 ore, ma fu subito chiaro che gli operai erano esposti ad un pericolo enorme. Stabilimmo un decalogo di precauzioni da adottare per la scoibentazione, Graziano però non volle adeguare la fabbrica e quindi dovemmo chiuderla».

Ricorda di aver trovato ostacoli sul suo percorso?
«La vicenda Isochimica e più in generale quella dell’amianto sui treni va contestualizzata. Quello fu il primo processo sull’amianto istruito in Italia. Non c’era una presa di coscienza generale su quanto fosse pericoloso, ricordo che anche i sindacati ritennero eccesivo il mio intervento».

Anche qui ad Avellino erano state depositate delle denunce sulle condizioni di lavoro all’Isochimica. Eppure la fabbrica la sequestrò Lei da Firenze. Si è mai chiesto il perché?
«Giunto ad Avellino, mi recai subito in Pretura per confrontarmi con i miei colleghi. Con mia somma sorpresa trovai denunce archiviate, procedimenti che giacevano lì senza sviluppi. Mi resi conto che non era stato fatto molto e decisi di farlo io. L’inerzia della magistratura avellinese non aveva evitato la continuazione del reato e il ritorno di quelle carrozze avvelenate a Firenze».

Dopo alcuni mesi però l’Isochimica riaprì con il nome di El.Sid. srl e continuò a lavorare fino al ’92. Graziano le chiese un risarcimento danni di 40 miliardi di lire. Li ha mai avuti?
«Ovviamente no. Con quella manovra Graziano, che avevo citato a giudizio, provò a sottrarsi al processo. Avendo capito subito la finalità di quella citazione in giudizio, lo anticipai e feci subito richiesta di astenermi dal procedimento a suo carico, rigettata poi dal presidente del Tribunale di Firenze. In seguito per quella richiesta Graziano fu condannato a tre anni per calunnia».

Di cosa la accusava Graziano?
«Di aver sequestrato la fabbrica per motivi politici e non per le condizioni di lavoro. Pensi che addirittura quando la fabbrica era ancora sotto sequestro, feci un blitz con gli agenti di polizia giudiziaria e trovai operai a lavoro e chiaramente senza precauzioni».

Oggi a distanza di quasi trenta anni la fabbrica è di nuovo sotto sequestro e al centro di una maxi inchiesta. Perché, secondo Lei, è stato necessario tutto questo tempo?
«Da un lato perché all’epoca magistratura e organi sanitari non furono capaci di tenere bene aperti gli occhi sulla questione. Dall’altro perché le patologie da amianto hanno una latenza anche di 40 anni. Oggi i giudici si trovano ad affrontare l’esito mortale di quelle lavorazioni».

Lei sa che la fabbrica non è ancora stata bonificata?
«Si, e purtroppo non mi sorprende. Quella dell’Isochimica è una vicenda clamorosa. La condotta di Graziano era gravissima, sotterrava l’amianto nel piazzale della fabbrica e nessuno controllava. Ricordo che prima del sopralluogo chiesi ad un carabiniere di recarsi all’Unità sanitaria locale per portarmi il responsabile del servizio prevenzione sui luoghi di lavoro, figura istituita dalla legge nel 1982. Rimasi incredulo quando il carabiniere tornò per dirmi che questa persona ad Avellino non esisteva. Ecco, questo fa capire come fu affrontata la vicenda Isochimica».
(pubblicato su Il Mattino del 13 febbraio 2014)