La diga di Torpè, un incubo pronto ad esplodere
La diga con i suoi 25 milioni cubi di acqua, pronta a gonfiarsi e ad esplodere. Sotto i comuni, Torpé e Posada, e poi la valle: un incubo per le migliaia di sardi che abitano ai piedi dell’invaso di Maccheronis sul rio Posada. E’ qui che domenica alle sei di sera l’onda d’acqua vomitata dalla diga ha travolto tutto e ucciso una donna invalida, devastato argini e ponti, distrutto strade e case, allagato paesi interi. E’ qui che la tragedia poteva avere effetti ancora più drammatici. “Serve a poco, ma lo avevo detto, lo avevo urlato ai quattro venti e nessuno mi ha ascoltato”. Giovanni Marongiu è un sindacalista, segretario degli edili della Cisl, quella diga la conosce come le sue tasche. “A ottobre – ci racconta – ero alla prefettura di Nuoro per l’ennesimo tentativo di evitare i licenziamenti degli operai che lavorano all’ampliamento della diga. La Maltauro, l’impresa che ha vinto l’appalto, ha rescisso il contratto perché non è riuscita ad accordarsi con il Consorzio di Bonifica della Sardegna centrale che gestisce l’invaso, quindi ha chiuso i battenti ed è andata via. Mi mangiavo le mani, il cantiere non poteva essere lasciato così, incompleto. Non c’erano i collaudi e una soluzione doveva essere trovata subito, anche per motivi di sicurezza e per tutelare la popolazione da eventi catastrofici”. Era il 3 ottobre, la catastrofe c’è stata. “Ecco – ci dice arrabbiato e angosciato Marongiu – se quei lavori fossero stati ultimati non avremmo pianto le vittime e contato i danni”. La diga è un vecchio in vaso degli anni Sessanta, costruito per irrigare i campi e dissetare la popolazione della zona che d’estate aumenta a dismisura per il turismo. Venticinque milioni di metri cubi di acqua che dovrebbero arrivare a 35 milioni con i nuovi lavori. In pratica si tratta di alzare il livello dell’invaso di quattro metri per accogliere più acqua. I lavori, appaltati all’impresa Maltauro, sono fermi per un contenzioso che dura da anni. Da una parte la Maltauro che chiede una revisione dei prezzi, dall’altra il Consorzio di Bonifica che nicchia. Risultato il blocco del cantiere e il licenziamento degli operai. Roberto Torres, sindaco di Posada, uno dei comuni a valle della diga, è appena uscito da una riunione in prefettura a Nuoro. “Se avessero concluso i lavori, l’onda di piena si sarebbe certamente attenuata. Certo, l’evento è stato straordinario, tanta pioggia non si era mai vista, ma quella diga non completata è per noi un incubo”. Cantiere fermo, opere incomplete, ma chi doveva vigilare sulla diga? “Bella domanda – è la risposta del sindacalista Marongiu – quando avremo una risposta sapremo anche di chi sono le responsabilità”. “Il cantiere è abbandonato da quando è iniziato il contenzioso – risponde il sindaco Torres – ma la diga era vigilata dai dipendenti del Consorzio di Bonifica, detto questo, non so quando riusciremo ad avere una diga veramente sicura. Per il momento facciamo il conto dei danni. Superiore ai dodici milioni di euro, sono saltati argini, una intera strada è stata spazzata via, fango e acqua hanno cancellato il sistema dunale che avevamo ripristinato da poco, e poi le case, i sistemi fognari. Dai prossimi giorni inizia la parte più difficile, la ricostruzione. Sarà dura con i tempi che corrono, speriamo solo di jon essere dimenticati in fretta e lasciati soli con i nostri drammi”. “La diga è sicura, lo può scrivere”. L’ingegner Ezio Trentin parla a nome della Maltauro. “non c’è nessun pericolo, quello che è successo è indipendente dai lavori del cantiere, l’opera l’abbiamo messa in sicurezza con le paratoie”. L’ingegnere respinge ogni responsabilità e scarica i ritardi sul Consorzio. “Perché non si siedono attorno a un tavolo? Certo, noi abbiamo fermato i lavori, ma oggi, dopo quello che è successo, speriamo di trovare una soluzione. In ogni caso la diga, così com’è, è in piena sicurezza”. La donna morta a Torpé era un’invalida, l’onda di acqua e fango l’ha uccisa nella sua casa. Gli altri si sono salvati perché si sono arrampicati sui tetti. Il paese è stato evacuato, come in guerra, perché sulla testa della gente c’è una bomba d’acqua pronta ad esplodere.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2013)