Sfuggono alla morte e finiscono tra le mani dei caporali

Due righe in cronaca, una succinta velina dei carabinieri, quelle che di solito i cronisti ricevono nei consueti cosiddetti “giri di cronaca”, un giovane senegalese di 30 anni, si è così saputo, è ricoverato in gravi condizioni al reparto grandi ustioni del Civico di Palermo, dopo che è stato investito da una fiammata fuoriuscita dal fornello a gas che teneva all’interno di un malmesso edificio in campagna, a Campobello di Mazara, e che usava come ricovero dopo la giornata di lavoro. La “velina” continua dicendo che probabilmente in quel luogo “non stava nemmeno da solo”. A contrada Corsale di Campobello di Mazara è vero che il giovane rimasto gravemente ferito non abitava da solo, dentro un il casolare ufficialmente abbandonato, lì è accaduto l’incidente. Oggi non c’è nessuno ma c’è chi dice che in questo locale fatto dalle classiche quattro mura senza porte e finestre il senegalese abitano una buona decina di altri immigrati come lui, tutti operai a disposizione dei “caporali” della zona. Non troviamo nessuno perché sono tutti al lavoro. A nemmeno tanti chilometri da Lampedusa dove si continuano a piangere morti che “sono nostri” (come hanno voluto dire sabato pomeriggio diverse organizzazioni che a Trapani hanno organizzato una fiaccolata), nelle campagne trapanesi altri immigrati, fortunati per essere rimasti vivi a conclusione di drammatiche traversate, si ritrovano sfruttati e maltrattati, davanti gli occhi di tanti anche di quelli che magari piangono i morti di Lampedusa. Sono almeno 600 gli immigrati che vivono nelle campagne tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, sfruttati nella raccolta delle pregiate olive della zona. Così raccontano alcuni residenti della zona. Basta fare un giro per le campagne circostanti e trovare malconci campi – dormitorio, tende, fili stesi tra gli alberi, si incontra anche qualche immigrato.

Pochi sono quelli disponibili a parlare, anche perché mentre ci si avvicina a loro d’improvviso sulla vicina strada transitano auto e suv che rallentano, qualcuno si sporge dal finestrino più per fare avvertire la presenza che per guardare. Dopo le emozioni delle traversate drammatiche ecco qual è la realtà, giovani costretti a sopravvivere a malapena. A lavorare nelle campagne trapanesi non ci sono più i tunisini, ci sono senegalesi, sudanesi, uomini che arrivano dal Darfur, dalla Somalia, dal Centrafrica. E’ cambiata la manodopera e sono cambiati i prezzi, un tunisino prendeva all’incirca 4 euro per ogni giornata di lavoro, fatta in media di 12 ore, i nuovi contadini arrivano a malapena a 2 euro e 50, l’orario di lavoro resta lo stesso, in più chi non si presenta all’appuntamento con i “caporali” avendo appresso acqua e un panino difficilmente troverà lavoro per quella giornata. Nelle ore diurne la presenza notturna in quelle campagne è segnata da brandine arrugginite, pezzi di stoffe, bagni chiusi da lastre di eternit, come gabinetto buche scavate nella terra. Sono però uomini e giovani che difendono la loro dignità. Finita la pesante giornata a raccogliere olive eccoli nei pressi di alcune fontanelle a riempire bidoni e a pulirsi di tutto punto, “sai – dice Khadim – se poi nei negozi ci presentiamo sporchi e impuzzoliti non ci fanno entrare, ma lo facciamo anche per noi cerchiamo di non star male”. Gli immigrati che lavorano nelle campagne di Campobello di Mazara, che sembra essere diventata la nuova Rosarno, arrivano qui da tutte le parti d’Italia, “siamo tutti regolari, giriamo le campagne italiane per trovare lavoro”. Alcuni arrivano qui dal Trentino. Per loro si sono mobilitati alcuni volontari e anche Libera, per far trovare abiti, scarpe. L’assistenza pubblica non c’è, non si vede nemmeno la Chiesa o la Caritas. Muoiono per ottenere questa accoglienza gli immigrati. E noi piangiamo solo i morti, dei vivi non ci preoccupiamo.