Pdl, Forza Italia e la retromarcia del cavaliere


(di Elia Fiorillo)

Non tutti i mali vengono per nuocere. La marcia indietro di Silvio Berlusconi sulla sfiducia al governo Letta, prima annunciata con frasi di fuoco eppoi ritirata con un opportunistico voto di fiducia, è uno spartiacque storico. Una sconfitta d’immagine dell’ex presidente del Consiglio, ma un probabile rilancio per il suo “raggruppamento” politico. E, anche, una fattibile ripresentazione per lo stesso Cavaliere che da padre padrone, proprietario, del Pdl-Forza Italia potrà (dovrà) trasformarsi in padre nobile, punto di riferimento, bandiera, delle due anime pidielline-forziste del suo ex partito. Al di là di come andrà il voto in aula per la decadenza da senatore di Berlusconi – nel segreto dell’urna ci potrebbero essere sorprese -, la via di quello che fu per Bossi il Berluscaz è obbligata. Certo, potrà scegliere tra la Santanché-Verdini-Bondi e Angelino Alfano, ma con quali risultati? Se avesse voluto farlo l’avrebbe deciso all’atto del voto di fiducia all’esecutivo. L’incavolatura verso il Pd, ritenuto alleato fedifrago, era tale da fargli scassare tutto. Ma non l’ha fatto. In lui, nel vecchio marpione dell’imprenditoria sono scattate le domande: “Ma mi conviene?”; “Che porto a casa?” No, non gli sarebbe convenuto. E sbaglia il presidente del Consiglio a punzecchiare Berlusconi per aver votato la fiducia al suo governo, non ha compreso fino in fondo la portata di quel sì all’ultimo secondo.

Angelino Alfano non avrebbe mai pensato di dover dare l’altolà a Silvio: gli doveva tutto. Ma, ormai, lo scontro con i falchi era arrivato al punto di non ritorno. Il momento della verità era giunto e la conta era inevitabile. Che andasse a finire com’è andata non lo pensava minimamente il trio Verdini, Bondi, Santanchè (portavoce Sallusti). L’idea delle dimissioni di massa era loro. Loro erano gli incendiari per antonomasia dell’animo berlusconiano con le varie parole d’ordine contro la Magistratura e contro i compagnucci traditori del Pd. Tutto era pronto per l’affondo decisivo e definitivo sull’ala governativa guidata da Angelino. Poi, d’un tratto, tutto è crollato quando i conti di Verdini non sono più tornati, come sempre era avvenuto in fatto di maggioranze. La fiducia ad Enrico Letta, su cui il trio si era seriamente impegnato a dire peste e corna nell’ultimo periodo, sarebbe passata al Senato, senza se e senza ma. Aveva vinto Alfano insieme ai ministri Lupi, Lorenzin, Quagliariello, De Girolamo. Una nuova fase della politica italiana si sarebbe aperta.

Ricucire lo strappo non sarà possibile nemmeno al Cavaliere. C’è da prendere atto che l’universo politico di Berlusconi si è diviso di fatto in due parti. Pdl e Forza Italia? Potrebbe pur essere. Raffaele Fitto invoca l’azzeramento di tutte le cariche ed un congresso a breve. L’ex governatore della Puglia, classe 1969, prova a candidarsi leader degli anti Alfano, classe 1970. Dovrà però fare i conti con quelli che da sempre sono stati i “più realisti del re” e non molleranno. Per il momento Berlusconi è alle prese con la vicenda della decadenza da palazzo Madama e con la scelta sofferta dei servizi sociali. Una volta sgomberato il campo, meglio il cervello, da queste congiunture ormai a senso unico, prevedibili e previste, dovrà mettere mano al futuro.

Non ci sarà nessun congresso e nessuna conta a cui lui, il super presidente ex proprietario, prenderà parte. Lui, il fondatore, proverà a consigliare, a dissuadere, a far ragionare ma stavolta nell’autonomia dei contendenti. Già gli è successo una volta di dover fare “marcia indietro”, non ce ne potrà essere una seconda. La cosa che l’uomo di Arcore chiederà a gran voce, senza mai smettere, è l’Unità sotto il suo nome. Che poi significa Anticomunismo sempre e comunque, esaltazione dei valori della Destra moderata, Mercato, tutela della Proprietà privata, ecc.. Insomma, ci potranno pur essere due o più raggruppamenti politici con a capo rispettivamente Angelino Alfano, Daniela Santanché, Raffaele Fitto, ma sotto la bandiera del “Berlusconismo”. Alle elezioni si va tutti uniti per vincere, eppoi ognuno ritorna a casa propria.

Uno degli esempi impropri più volte richiamati in questi giorni di divisioni dall’ala dei falchi è la vicenda Fini. Il bastian contrario del Cavaliere, già suo secondo, che lasciò il partito dopo l’ennesimo scontro con Silvo furente. La tesi è che se Angelino Alfano avesse deciso di lasciare l’ex Caimano, mettendosi in proprio, sarebbe scomparso dalla scena politica com’era capitato all’ex presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini. E’ stato proprio Berlusconi a smentire di fatto l’assunto non schierandosi, né cacciando alcuno. Ciò perché Fini era un vero contendente alla leadership del Cavaliere e non aveva nessuna intenzione di attendere la successione. Alfano, invece, era – e per il momento resta – per il Capo il figliolo più o meno designato, carne della sua carne.

Forse sarebbe il caso che l’ex segretario della Cgil e attuale traghettatore del Pd, Guglielmo Epifani, pensasse più a casa sua che a quella degli altri nel consigliare strade da percorrere. La festa dell’Immacolata Concezione, data del congresso, è vicina e di nodi da sciogliere ce ne sono ancora tanti, anche se Berlusconi qualche aiutino l’ha dato.