Sangue infetto. Corte di Strasburgo condanna l’Italia

(di Elisabetta Cannone)
Per sette di loro il tempo è stato fatale, sono morti nel corso del procedimento. Ma per il gruppo di cui facevano parte, 162 ricorrenti malati vittime di sangue infetto, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta sicuramente una grande vittoria. Contagiati, come altre migliaia di connazionali tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90 da Hiv o epatite B o C in seguito a trasfusioni, emoderivati e vaccinazioni obbligatorie fatte con sangue infetto, assistiti dai legali Massimo Dragone del foro di Venezia e Claudio De Filippi di Milano queste persone si sono rivolte alla Corte di Strasburgo perché venisse tutelato il loro diritto all’indennità integrativa che deve essere rivalutata ogni anno in base al tasso d’inflazione, così come previsto dalla legge 210/92. Secondo questa legge, infatti, chi si è ammalato col sangue infetto ha diritto a un indennizzo dal ministero della Salute composto da due parti: una fissa e una complementare. Nel 2005, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che le due parti dovevano essere rivalutate ogni anno in base all’inflazione. Adeguamento e conseguente pagamento che però non ci sono stati in virtù di un decreto d’urgenza, n. 78/2010, col quale è stata stabilita l’impossibilità di valutare proprio la parte integrativa. Un decreto peraltro già dichiarato incostituzionale da parte della Corte costituzionale nel 2011, ma che non ha avuto conseguenze. Così la Cedu ha emesso la sua sentenza di doppia condanna: da una parte sollecitando il nostro Stato al pagamento dell’indennità integrativa prevista e dall’altra dichiarando che, con quel decreto del 2010 l’Italia ha privato di un diritto i cittadini italiani, contagiati da Hiv, epatite C e B. Con questa sentenza “pilota” quindi lo Stato italiano dovrà stabilire, entro sei mesi da quando la decisione della Corte europea sarà definitiva (il Governo ha infatti tre mesi di tempo per chiederne la revisione davanti alla Grande Camera della stessa Corte), un termine perentorio entro il quale garantire l’attuazione tempestiva ed efficace dei diritti finora negati.
Fin qui la vittoria. Ma la parte più importante di quanto accaduto risiede nella portata più ampia che assume la sentenza perché ovviamente si applicherà non solo ai 162 richiedenti ma a tutti coloro che si trovano nella stessa condizione e che secondo la legge 210 beneficiano di un indennizzo. Eppure, oltre all’entusiasmo dei primi momenti, c’è anche chi pone molta cautela nell’accogliere la sentenza della Corte europea. E anche qualche perplessità sulla sua effettiva applicazione.
“Io vorrei chiedere al Ministero cosa pensa di questa sentenza – commenta a caldo Monica Trapella, presidente del Comitato vittime sangue infetto – , cosa pensano di fare nel futuro e se pagheranno davvero queste persone. Si tratta di 150 euro al mese per 10 anni, moltiplicato per circa 40mila persone. Credo che sia un’altra “vittoria di Pirro” – rincalza la Trapella -, perché di vittorie ce ne sono già, ma non sono state rispettate”.
“La sentenza di ieri della Cedu non fa altro che ribadire quanto già detto dalla Corte costituzionale nel 2011 che aveva dichiarato l’incostituzionalità del decreto del 2010 – aggiunge Sandra D’Alessio, vice presidente Comitato vittime sangue infetto -, e stabilisce anche che lo Stato ha violati i diritti dei malati. Certo, adesso tocca vedere cosa succederà – continua Sandra D’Alessio – perché l’Italia ha tre mesi di tempo per impugnare la sentenza e altri sei per stabilire il termine entro cui pagare. In fondo non sarebbe nemmeno la prima volta che sentenze della Corte europea non trovano seguito nel nostro Paese. Oltretutto già dal 2011, dopo la sentenza della Corte costituzionale, il Governo avrebbe dovuto pagare gli adeguamenti ma non l’ha fatto, costringendoci così a fare in cause e anche quando le sentenze ci danno ragione dobbiamo di nuovo andare in giudizio di ottemperanza”.
“I cittadini italiani infettati da trasfusioni di sangue o da prodotti da questo derivati hanno vinto la loro battaglia a Strasburgo – ha commentato con una nota l’avvocato Ermanno Zancla del Foro di Palermo, che da anni ormai si occupa di richieste di indennizzo e risarcimento delle vittime di sangue infetto -. La Corte europea dei diritti umani con sentenza M.C. ed altri contro Italia del 3 settembre 2013 ha stabilito che lo Stato deve versare a tutti gli infettati l’indennità integrativa speciale prevista dalla legge 210/1992 – continua la nota -. Una somma che dovrà essere versata a tutti gli interessati circa 80.000,00 in tutta Italia. Lo Stato ha sei mesi di tempo per adeguarsi. Temiamo però – aggiunge preoccupato il legale palermitano – che, come già accaduto in moltissimi altri casi analoghi, lo Stato italiano non pagherà spontaneamente come avrebbe peraltro già dovuto fare. Crediamo quindi che a maggior ragione i danneggiati che percepiscono l’indennizzo debbano iniziare una azione giudiziaria per l’ottenimento di quanto ormai definitivamente riconosciuto”.