Il prete del barone
Non è un volere prendere a prestito le vicende del barone Fabrizio Salina, “Il Gattopardo”, in modo mirabile raccontate da Tomasi di Lampedusa. Ma è un voler dire che la storia dell’aristocrazia siciliana è fatta di personaggi, storie, accadimenti che sono destinati a ripetersi nel tempo. Da quell’800, e anche prima, sino ai giorni nostri. Trovare cioè un prete, un sacerdote, seduto alla tavola dei potenti, non è un qualcosa che serviva a riempire la scena di un importante racconto, testo sacro della nostra letteratura, come “Il Gattopardo”, dove il prete di fiducia si chiamava padre Pirrone, ma semmai è un fatto che appartiene alla storia della Sicilia. Lo scriveva nel 1838 don Pietro Ulloa, procuratore del Re…a Trapani: “La venalità e la sommissione ai potenti ha lordato le toghe di uomini posti nei più alti uffici della magistratura. Non vi ha impiegato che non sia prostrato al cenno ed al capriccio di un prepotente e che non abbia pensato al tempo stesso a trae profitto dal suo Uffizio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette che dicono partiti, senza colore o scopo politico, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là… un arciprete”. Continuava così Ulloa: “Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di esonerare un funzionario, ora di difenderlo, ora di proteggere un imputato, ora di incolpare un innocente. Sono tante specie di piccoli Governi nel Governo. Il popolo è venuto a tacita convenzione con i rei. Come accadono i furti, escono i mediatori ad offrire transazione pel ricuperamento degli oggetti involati. Il numero di tali accordi è infinito. Molti possidenti perciò hanno creduto meglio divenire oppressori, e s’iscrivono nei partiti”. E gli esempi di preti, arcipreti, monsignori, vescovi e cardinali potrebbero continuare all’infinito. Uomini in tonaca che nelle Chiese chiedono e invocano la rinunzia a Satana e che nelle loro quotidiane attività, nemmeno tanto in segreto, magari si trovano a stringere mani che non dovrebbero stringere…mani di assassini, di complici degli assassini, di …colletti bianchi come si dice oggi parlando della nuova mafia. La nostra letteratura che non è solo frutto della fantasia di bravi e illustri scrittori è densa di episodi che traggono spunto dalla realtà dove è accaduto, e accade, che la religione attraverso chi la esercita, attraverso i suoi simboli più o meno alti, stare dalla parte dell’ingiusto. A parte i “pizzini” dei boss dove puntualmente alla fine, dopo avere parlato anche di ammazzatine da compiersi, vengono scambiati saluti in nome di Santi e beati, e si auspicano protezioni Divine, che sono un esempio vivo della realtà, a parte gli altari trovati allestiti in qualche covo di latitante, addirittura il maestro Andrea Camilleri nel suo libro “La Gita a Tindari” descrive in queste pagine un ex voto dei primi del Novecento dove viene rappresentato un contadino che fugge via inseguito da due carabinieri e in alto in questa raffigurazione tra le nuvole viene fatta comparire la Madonna che indica al fuggitivo la strada migliore da seguire per sfuggire alle catene. In basso all’ex voto Camilleri scrive che stava stampata la devozione …per essere scapato ai rigori di la liggi. Cosa c’entra Trapani, la Trapani di oggi, e un processo come quello in corso al senatore D’Alì in tutto questo? C’entra, tutto questo è perfettamente compatibile. Come se fosse ricalcato con la carta carbone. Oppure, per dirla in termini contemporanei, “con il classico copia e incolla”. C’entra perché quel barone Salina somiglia molto al barone D’Alì Solina, al secondo Antonio D’Alì, banchiere, latifondista, senatore della Repubblica. C’entra perché quel padre Pirrone del Gattopardo sembra essere don Ninni Treppiedi il sacerdote, o ex sacerdote almeno per i prossimi 5 anni secondo il volere della Congregazione, che da grande amico del senatore D’Alì si è trasformato nel suo grande accusatore. C’entra tutto questo perché leggere quello che il procuratore Ulloa scriveva nel 1838 sembra essere stato scritto non ieri ma questa mattina. C’entra perché Matteo Messina Denaro il super boss latitante dal 1993 si scambia i saluti con i suoi complici nel nome dei Santi, perché un prete, oramai defunto, aprì le porte della sua sacrestia a lui e a suo padre, don Ciccio Messina Denaro, il “patriarca” del Belice, quando padre e figlio ebbero bisogno di nascondersi, perché un prete celebrando nel chiuso di un obitorio la messa per l’ultimo saluto a don Ciccio Messina Denaro ebbe a dire che l’unico giudizio su quell’uomo, morto latitante, inseguito da ordini di arresto e condanne per omicidi, era quello divino e giammai quello terreno dei giudici. C’entra bene “La Gita a Tindari” in questo capitolo di “Malitalia” perché Camilleri lì parla di Trapani e del senatore Ardolì che somiglia tantissimo al senatore D’Alì: Camilleri annota, facendo parlare il suo commissario Montalbano, che la Polizia a Trapani invece di occuparsi della criminalità deve occuparsi di proteggere il senatore Ardolì che invece guardandolo in volto si capisce molto bene che lui non ha bisogno della protezione della Polizia e che semmai quella protezione gli serve per apparire ancora più potente. Approfondite queste ricerche letterarie, impegnato il tempo a ripassare libri e racconti della nostra Sicilia, adesso prendete i verbali sottoscritti da padre Ninni Treppiedi e leggeteli. Non sono confessioni al magistrato fatte fuori dal tempo, fatti per “salvarsi” dai guai giudiziari che pure inseguono il sacerdote indagato per appropriazioni, malversazioni e falsi nell’ambito di una inchiesta che ha sconvolto la Diocesi di Trapani, sono racconti veri che affondano le radici non nel presente ma in un passato che torna sempre dove i preti stanno più dalla parte del potente invece che del debole. La svolta nel processo contro il senatore D’Alì’, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per il quale i pm Paolo Guido e Andrea Tarondo hanno chiesto sette anni e 4 mesi di carcere, e che lunedì prossimo andrà a concludersi, sta proprio nella decisione di padre Treppiedi di raccontare tutto quello che ha saputo stando fianco a fianco per quasi 10 anni al senatore D’Alì, per avere diviso i momenti intimi, di famiglia e quelli ufficiali, i viaggi privati, le cerimonie, così ha potuto raccogliere confidenze e sfoghi. Ha raccontato padre Treppiedi che il suo ministero di religioso a D’Alì è servito per potere parlare non direttamente con i testimoni che parlando avrebbero potuto inguaiarlo, con l’ex moglie che stava per svelare ai magistrati, dopo averli raccontati ad una giornalista, i brutti affari di casa sua, i regali ricevuti da Messina Denaro e il telegramma di rimprovero arrivati dal carcere da un boss mafioso, quel prete ha aperto al senatore D’Alì le porte della Diocesi che per un periodo non erano a suo favore totalmente spalancate. Padre Treppiedi come padre Pirrone del Gattopardo…il prete di casa Salina, persona alla quale si confidavano i più importanti segreti, tra cui le scappatelle di don Fabrizio e l’amore di Concetta per Tancredi. Persona mite e sottomessa al principe, consigliava senza successo il principe e lo aiutava nella sua passione per l’astronomia. Teme per il bene dei monasteri e della chiesa di Palermo allo sbarco dei garibaldini e serbava rancore a Tancredi per il suo aiuto a questi. Il padre Pirrone dei giorni nostri pare conoscere nei suoi pure generici elementi i retroscena della vendita di una banca importante, la Banca Sicula di Trapani, o ancora i tentativi ripetuti nel tempo di fare trasferire un investigatore che a Trapani ha lavorato senza guardare in faccia a nessuno come l’ex capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, ai magistrati ha anche raccontato di come si possono mascariare le persone oneste e che non vogliono cedere ad alcun potere, mandandogli dietro sgherri perché questi potessero scoprire scheletri e malefatte negli armadi, azioni pare messe in atto nei confronti di diverse persone. La vicenda processuale di D’Alì è un capitolo di una storia più ampia, la storia che si va aggiornando su una città, Trapani, che continua ad essere anomala…che diffida da chi collabora con la giustizia e preferisce af..fida..rsi a chi, a dispetto dei ruoli istituzionali ricoperti, riconosce ancora ora come potere quello dell’antiStato con il quale si possono fare affari e ci si può arricchire, portando nuovi capitali nelle casseforti estere, in Svizzera e in Lussemburgo