Il delitto di Mauro Rostagno 25 anni dopo /2

Il processo in corso sul delitto di Mauro Rostagno, una cosa l’ha già assodata: un patrimonio di conoscenza che per 23 anni, sino all’inizio del dibattimento, è stato ignorato e calpestato, si è perduto tempo nell’individuare matrice, mandanti ed esecutori del delitto Rostagno, cercandoe chiavi di casseforti, fax, ci si è chiesti perché Rostagno avrebbe dovuto avere dei dollari dentro la sua borsa al momento del delitto, i carabinieri questo andavano dicendo nelle ore del delitto ma i dollari non c’erano, non ci sono mai stati in quella borse, c’era invece una agenda che non si è più trovata. Ma di questo non si parla, hanno cercato per anni una vhs forse mai esistita.

Il processo in corso non è un processo che individua gli imputati per via del movente. Il movente non c’è a dibattimento, c’è su questo una indagine stralcio in corso. Ci sono imputazioni che derivano da circostanze precise. Contro Vincenzo Virga le accuse di collaboratori di giustizia che dicono che l’ordine di uccidere Rostagno arrivò a Virga da Francesco Messina Denaro. Contro Vito Mazzara la comparazione del modus operandi dei killer che a cominciare dall’uso di cartucce sovracaricate e prodotte in modo artigianale, si sovrappone alle scene di altri delitti di mafia per i quali Vito Mazzara sconta condanne definitive all’ergastolo.

Ma il movente si può scorgere lo stesso. Mauro Rostagno è morto perché dava fastidio a Cosa nostra hanno raccontato i pentiti. Perché in un modo o in un altro i suoi interventi dagli schermi della tv locale Rtc erano carichi di sfida contro la mafia, di ironia, ma non solo, anche disprezzo, irrideva un sistema politico che si faceva facilmente corrompere e che lasciava le città in abbandono. Veniva attaccata quella politica che parlava con la mafia e con la massoneria che funzionava da stanza di compensazione. Rostagno aveva spezzato tanti silenzi. Alla mafia non poteva certo andare bene se l’ordine diffuso era, e resta anche oggi, “tacere è bene, parlare è male”. Il delitto Rostagno per 22 anni è rimasto qualcosa di vago, la pista della mafia è finita «sbeffeggiata», gli interventi in tv di Rostagno contro mafia, massoneria, politici corrotti sono rimasti non considerati, i carabinieri che indagavano hanno detto che mai erano andati a sentirsi le registrazioni.

Come fu deciso di ucciderlo. Lo ha raccontato Angelo Siino il cosidetto ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Stiamo parlando di verbali del 1997. Don Ciccio Messina Denaro era parecchio arrabbiato: Puccio Bulgarella, imprenditore ed editore di Rtc, non solo era in «debito» nel pagamento del «pizzo» per alcuni lavori ottenuti in appalto, «la classica messa a posto» spiegò Siino, ma era pure il proprietario dell’emittente televisiva che «ospitava gli interventi di Rostagno. Siino ha detto di avere parlato a Bulgarella questi si era difeso dicendo che Rostagno era un cane sciolto, difficilmente controllabile. Quando il delitto fu commesso accadde che durante una riunione di mafia a Mazara qualcuno chiese a Mariano Agate perché Rostagno fosse stato ucciso, la risposta fu, questione di corna e da allora il movente per tutti doveva essere questo. Ed è stato questo. E ancora oggi in Corte di Assise la difesa degli imputati prova a fare rientrare nel dibattimento questo tam tam.

Altro che corna. In quel 1988 la mafia aveva fatto balzi in avanti enormi, nel processo questo è venuto a dirlo il capo della mobile Giuseppe Linares che nel 2008 riaprì le indagini fermando la richiesta di archiviazione che i pm a Palermo erano pronti a firmare. Nel 1988, ha ricordato Linares, era libero il gotha non solo trapanese ma anche siciliano di Cosa nostra, ed i gruppi di fuoco erano bene operativi. Mentre crescevano gli affari e le alleanze. La mafia diventava un tutt’uno con l’imprenditoria e la politica, il territorio veniva assalito dalle speculazioni che nessuno ostacolava, la gestione dei rifiuti, il mercato dell’acqua sono diventati e restano affari per fare grande lucro. A Trapani si parlava poco di mafia. Rostagno aveva rotto l’andazzo, “era un giornalista fuori dal coro” ha detto l’ex capo della Mobile. “Rostagno era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato”. Linares ha ricordato come già “nel rapporto della Mobile del 1988 venivano citati gli editoriali di Rostagno sui cavalieri del lavoro di Catania, interessati a lavori pubblici eseguiti a Trapani, lui ne parlava senza che ancora la magistratura avesse fatto nulla, i riscontri giudiziari arriveranno anni dopo il suo assassinio”. O ancora, si interessava di come venivano fatti certi smaltimenti di rifiuti, un affare che era nelle mani di Vincenzo Virga.

Tra gli editoriali finiti nel processo ce ne è uno emblematico, “qualche mio caro amico mi ha consigliato di abbassare i toni perchè questo lavoro rischia di fare male alla Sicilia e alla comunità, io continuo a pensare e a dire che la migliore pubblicità che si può fare alla Sicilia è quella di affermare che la mafia va abbattuta». Quando fu ucciso Rostagno ci furono sindaci che non ne volevano sapere di occuparsi dei funerali, la sera del 26 settembre 1988 il Consiglio comunale di Trapani era riunito e il delitto non fermò i lavori.

Ultimo atto del processo prima della pausa estiva è stato quello di far tornare a testimoniare Chicca Roveri la compagna di Mauro Rostagno. Poco prima il conferimento di una ulteriore perizia dopo che la super perizia balistica non ha sciolto i dubbi a proposito delle responsabilità del killer Vito Mazzara.
Questo processo non è diverso dagli altri perché la nostra normativa penale relativa alla celebrazione dei processi è una norma che con l’andar del tempo è stata condita da grandi “aggiustamenti” che hanno introdotto un garantismo per gli imputati che se corretto nelle sue basi originarie via via è diventato sempre di più esasperato ed esagerato, e oggi succede che le vittime del reato, i familiari che si costituiscono parte civile, finiscono quasi col diventare gli “imputati” per i quali è stata scritta una sentenza di condanna. Per le vittime oggi le norme processuali non riservano aspetti di garantismo. L’imputato senza risorse è difeso a spese dello Stato. La vittima parte civile senza risorse non ha alcuna forma di aiuto. Chicca Roveri si è ritrovata dinanzi i difensori degli imputati che le hanno fatto domande sui rapporti personali tra lei e il suo compagno. A Chicca Roveri è stata chiesta ragione degli assegni che firmava e consegnava agli addetti alla Saman, lei ha spiegato che erano assegni che servivano alla gestione della comunità, che venivano presi, portati in banca e monetizzati, e tra i beneficiari di quegli assegni sono usciti i nomi di coloro i quali nel tempo sono stati accusati di potere avere ucciso Rostagno, o che sono stati indicati come “amanti” della stessa Chicca, tanto amanti da meditare e compiere il delitto: “Con due milioni non si paga un sicario” ha risposto ad un certo punto, risentita Chicca Roveri, all’ennesima domanda delle difese…”.
“Oggi ho detto che Trapani è una città bruttissima, oggi ho detto che mi facevano domande stupide, oggi ho detto che Marrocco e Cammisa non sono morti e che le domande le potevano fare a loro, volevo dire che è sempre facile per i maschi infierire sulle donne. Oggi mi sono state rifatte le stesse domande sul mio rapporto d’amore con Mauro da persone così lontane da noi, dalla nostra visione del mondo, che pensano che avere 2 stanze vuol dire non amarsi. Oggi è stata una bruttissima pagina della nostra disgraziata Italia, fatta di persone che ci vengono a fare la morale e difendono mafiosi”. Questo lo sfogo finale che Chicca Roveri a fine udienza ha fatto fuori dall’aula.
Il 26 settembre del 1988 Mauro Rostagno è stato ucciso dalla mafia trapanese, 14 giorni prima ci fu l’omicidio a Trapani di un giudice, in pensione, il giudice Alberto Giacomelli che anni prima aveva confiscato una proprietà di Riina, Rostagno fu ucciso 24 ore dopo il delitto di un altro giudice a Caltanissetta, Antonio Saetta, che doveva presiedere il maxi processo di appello, Rostagno è stato ucciso mentre dinanzi a quelle e ad altre morti si diceva che la mafia non c’era.

Il protagonista di questa storia non è morto, è vivo, vive con noi, con chi vuole vedere la mafia battuta e l’emarginazione sociale sconfitta, le povertà annientate, l’informazione libera e la democrazia e la libertà restare inviolate.