…e il senatore D’Alì mandò a dire

“Nonostante nella sua immaginifica ricostruzione di fatti che riguardano me e la mia famiglia nella deposizione di ieri in udienza, Treppiedi non abbia detto nulla in merito, apprendo di una serie di note di stampa che mi indicano come autore di pressioni presso il vertice della Polizia di Stato quando ero sottosegretario di stato al ministero dell’interno per sollecitare l’allontanamento dal territorio trapanese del dott. Linares, capo della squadra mobile, trasferimento peraltro non avvenuto. Al riguardo preciso, ove non bastasse la testimonianza già resa dall’allora Capo della Polizia prefetto De Gennaro ed acquisita agli atti del procedimento a mio carico avanti il GUP di Palermo, che non sono mai intervenuto in tale direzione e che , viceversa, ad ogni utile occasione non ho mancato di sottolineare i miei apprezzamenti nei confronti dello stesso e delle Forze dell’Ordine che operano in provincia di Trapani”. Il senatore Antonio D’Alì sotto processo a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, i pm hanno chiesto una condanna a sette anni e quattro mesi, lunedì è previsto che ci sia la sentenza, ha rotto così il silenzio di questi mesi di processo, durante i quali ha lasciato che a parlare fossero sempre e soltanto i suoi difensori, gli avvocati Bosco e Pellegrino. Il “caso” Linares gli è esploso tra le mani quando pensava che mai questo capitolo venisse aperto nel dibattimento in corso, e invece così non è stato. Il “testimone” padre Ninni Treppiedi ha raccontato diversi segreti appresi frequentando il politico ed i suoi familiari, anche di come “pensiero fisso” fosse il trasferimento lontano da Trapani dell’allora capo della Squadra Mobile, Giuseppe Linares. Treppiedi ha raccontato di interventi presso il Capo della Polizia dell’epoca, Gianni De Gennaro, di un trasferimento già deciso e poi bloccato dal procuratore della Repubblica di Trapani. Una circostanza che non è nuova per i magistrati. In altri atti giudiziari già se ne è parlato. Treppiedi ha fornito nuovi riscontri. Linares dava fastidio e andava trasferito. Doveva essere trasferito. A dirlo erano soprattutto i mafiosi intercettati, boss che ne parlavano quasi già come un fatto scontato, e i tempi delle loro parole sono gli stessi durante i quali la politica che stava al Governo si muoveva in questo senso muovendo. Ciò non di meno D’Alì ha scomodato, come si è letto, De Gennaro ma anche il defunto ex capo della Polizia Manganelli. “…apprezzamento ebbi occasione di manifestare al vice-capo di allora, poi capo della Polizia di Stato, il compianto prefetto Manganelli allorché mi rese edotto di un suo progetto di creare un nuovo nucleo investigativo speciale a Palermo nell’ambito della Polizia, che avesse il compito di dedicarsi a tutto il contesto degli intrecci mafia/politica in Sicilia, superando quindi eventuali criticità generate dal frazionamento delle competenze a livello provinciale ed ai vertici del quale avrebbe voluto proprio chiamare il dott. Linares, che quindi avrebbe mantenuto anche la competenza sul territorio trapanese. Lo stesso Manganelli mi disse che il suo progetto non era potuto andare avanti per una incomprensione con la procura proprio di Trapani. Anche in quella circostanza non mancai di sottolineare le qualità professionali del dott. Linares”. I fatti raccontano per la verità un’altra storia. La Procura di Trapani non condivise il fatto che Linares avrebbe dovuto lasciare Trapani e le indagini che conduceva in città senza alcuna prospettiva certa sul potere continuare quelle inchieste. Negli anni a venire si sa quello che è accaduto. Linares nel 2010 è stato promosso, è diventato dirigente, ed è rimasto a Trapani ad occuparsi dell’anticrimine e da Roma, dal vertice della Polizia nessuno si mosse per impegnarlo ancora nelle indagini antimafia per la cattura di Messina Denaro. Certamente una “caccia” che non si è fermata, viene continuata da altri, ma Linares ha dovuto abbandonare il campo e oggi ha abbandonato anche la Sicilia, promosso ad un incarico indubbiamente esaltante, capo della Dia a Napoli. Un trasferimento che ha visto la presentazione di interrogazioni parlamentari da diverse parti politiche e non certamente dal senatore D’Alì che a parole oggi dice di avere avuto e di avere a cuore la lotta alla criminalità mafiosa locale, e contro quel “mascalzone”, come lo ha chiamato lui in qualche rara occasione, di Matteo Messina Denaro, che più che mascalzone vale la pena ricordare è solo uno stragista assassino. Ma D’Alì fa di più. Chiama in causa i familiari di Linares…la sua famiglia , peraltro, in precedenza aveva avuto occasione di farmi pervenire accorate preoccupazioni sui rischi che riteneva lo stesso corresse nell’occuparsi di un così delicato contesto sociale e territoriale”, quasi come a dire che a volerlo trasferito non era certo lui. Ma , ci permetta il senatore D’Alì, è veramente difficile credergli.