Deborah Cartisano: le radici del male e i fiori della speranza
(di Giulia Farneti ed Alessandro Bertolucci)
Siamo nel 1993 a Bovalino, un piccolo paese che si affaccia sulla costa ionica calabrese, non molto distante da Reggio Calabria. Adolfo Cartisano è fotografo. Quel 22 luglio è in macchina con la moglie Mimma. Alcuni uomini li fermano; Mimma viene stordita e abbandonata, mentre il marito Lollò, così viene chiamato, viene sequestrato. Nonostante il pagamento di un riscatto, il fotografo non viene riconsegnato alla famiglia. Di lui non si sa più nulla, nemmeno dopo il pagamento di un riscatto. Nel 2003, grazie alla lettera anonima di un carceriere che si dichiara pentito e implora il perdono della famiglia, viene trovato il corpo. Si dice che quello fu l’ultimo rapimento della ‘ndrangheta. Ma perché mai proprio un fotografo? Sono trascorsi 20 anni ed ecco la parola passa alla figlia Deborah che non è mai andata via da Bovalino e che qui ha ancora un’attività. Ci racconta cosa vuol dire vivere in terra calabrese, luogo in cui la criminalità organizzata è ancora radicata.
Chi è oggi Deborah Cartisano?
Sono fotografa, mamma e moglie, sono impegnata con l’Associazione Libera, in particolare adesso come Coordinatrice di Libera Locride e faccio parte dell’Associazione politico-culturale Nova Bovalino.
Quale significato dà alla parola ‘ndrangheta?
Per me, la ‘ndrangheta, oltre che un fenomeno, è diventata una cultura, un modo di essere che non è più soltanto appannaggio dei mafiosi ma ormai di molti, e come tale, più difficile da combattere se non con mezzi “culturali” come i progetti nelle scuole che si fanno con Libera con le testimonianze di noi familiari delle vittime di mafia.
È figlia di Adolfo Cartisano, per gli amici Lollò, quale rapporto aveva instaurato con lui?
Un bellissimo rapporto, parlavamo di tutto: politica, mafia, cultura, rispettava le mie idee anche se non sempre combaciavano con le sue.
Ci racconta chi era suo padre?
Mio padre era un uomo profondamente libero, non aveva paura di esprimere le sue opinioni ed era estremamente aperto e socievole. Amava la nostra terra e ha trasmesso a noi figli questo amore. L’insegnamento più grande che mi ha lasciato è stato quello di non essersi piegato a una richiesta estorsiva: mi raccontò che non trovava giusto pagare e che era stato dalla polizia a denunciare, e grazie alla sua denuncia, le persone che ci chiedevano il pizzo sono state arrestate. L’atteggiamento deciso e tranquillo con cui aveva affrontato questa situazione mi ha dimostrato che si poteva dire di no alla ‘ndrangheta, la cappa di paura che ha avvolto il mio paese non lo aveva scoraggiato.
Suo padre viene sequestrato il 22 luglio del 1993 insieme a Mimma, sua madre, che verrà ritrovava viva in campagna il giorno successivo. Per quali motivi la criminalità organizzata calabrese aveva deciso di colpire proprio voi?
Questo non lo so.So soltanto che il sequestro fu a scopo estorsivo e che pagammo un riscatto per la sua liberazione.
Quando e perché lei e la sua famiglia avete capito che si trattava di un sequestro della ‘ndrangheta?
Le modalità erano quelle “classiche” usate dalla ndrangheta, e infatti ,dopo meno di un mese, arrivò la prima richiesta dai sequestratori.
Prima di voi, le famiglie che avevano subito un sequestro si erano chiuse nel silenzio. Voi ribaltate la cosa. Perché avete deciso di ribellarvi e di camminare a testa alta?
Perché era quello che ci aveva “insegnato” mio padre: non piegarsi passivamente alla ‘ndrangheta, trovai tanti ragazzi e non che la pensavano come me e fondammo il Movimento “Per Bovalino Libera”, richiamando l’attenzione dei media e delle Istituzioni che fino ad allora avevano ignorato l’anomalia in cui vivevamo: nella Capitale dei Sequestri avevamo avuto subito ben 18 sequestri di persona!
Nel 2003 vi giunge una lettera anonima di un carceriere di suo padre che si dichiara pentito e implora il perdono della famiglia. Il carceriere indica anche il punto in cui è seppellito il corpo di Lollò Cartisano.
É una lettera totalmente inaspettata, non ha precedenti nella storia della ndrangheta e stravolge la nostra vita in positivo. Nonostante le nostre lettere sui giornali che per dieci anni avevamo scritto chiedendo verità e giustizia e che ci venisse almeno restituito il suo corpo, non credevamo che uno dei rapitori si potesse mai pentire.
Per quali motivi avete deciso di perdonare e di mettere il vostro dolore a disposizione degli altri?
Abbiamo voluto valorizzare il grande dono che questa persona ci ha fatto: restituirci mio padre. Ci dice di avere rimorso, di voler guardare di nuovo in faccia i suoi figli senza doversi più vergognare
Attraverso il suo pentimento quest’uomo non ha cambiato soltanto la sua vita ma anche la nostra. Ci ha insegna che il cambiamento è possibile.
Dal 2003, fate una marcia “I sentieri della memoria” per ricordare suo padre e tutte le altre vite spezzate purtroppo troppo presto. Quale significato ha per lei questa camminata?
Camminare insieme su un sentiero impervio per ricordare mio padre e tutte le vittime innocenti della ndrangheta ha un valore altamente simbolico: la lotta alla mafia è faticosa ma si può fare se si lavora insieme. Nonostante la difficoltà del cammino, la fatica condivisa risulta più facile da sopportare. Inoltre vogliamo riappropriarci del nostro Aspromonte, per troppo tempo identificato soltanto con la ndrangheta, vogliamo viverlo assieme a tutte le forze positive di questa terra. Portiamo una pietra su cui è disegnato un fiore, il Fiore di Pietra Cappa, che simboleggia il cuore di pietra di uno ‘ndranghetista: il fiore del cambiamento, della speranza e della trasformazione. Don Tonio dell’Olio, referente di Libera Internazionale, ha celebrato la Messa in onore di tutte le vittime che “chiude “ il cammino dei Sentieri della Memoria, ci ha fatto gridare “L’Aspromonte non è della ‘ndrangheta!”
Nonostante tutto, vivete ancora a Bovalino e avete ancora il vostro negozio di fotografie. Perché siete rimasti nella vostra terra che sembra abbia voluto espellervi?
Perché mio padre ci ha trasmesso un amore viscerale per questa terra; mi ripeteva spesso che se tutti fossimo andati via, a chi sarebbe rimasta la Calabria.
Bovalino è un paesino ch confina con Platì, San Luca e Natile sulla costa ionica alle spalle dell’Aspromonte. In 15 anni ci sono stati 18 sequestri di persona e sembra che tutto si stato trattato normale. I media hanno dato spazio a queste tragedie un giorno e poi via la notizia. Com’è oggi la situazione?
É cambiata la reazione della gente che sembra non voler più subire soprusi ma è cambiata soprattutto la mafia che è diventata un modo di comportarsi, molto diffuso e accettato. Non ci si sente mafiosi ma spesso ci si comporta da tali.