Chiedono il “pizzo”, arrestati
Eccola presente la mafia che secondo alcuni non esiste. Spunta chiede il pizzo e però finisce male. Tre arresti per una estorsione andata , per la mafia, a buon fine, e per un’altra tentata. Tutto accade a Castellammare del Golfo, città del trapanese notoriamente “zoccolo duro” di Cosa nostra, quella “potente” legata alla mafia americana, dove sopravvivono intrecci incredibili, tra mafia, politica, imprese…massoneria e servizi segreti. Intrecci in parte provati altri rimasti solo appena delineati, ombre che coprono probabilmente segreti inconfessabili. Vittima dell’estorsione un importante imprenditore, Gregory Bongiorno: dall’anno scorso è presidente di Confindustria a Trapani dopo essere stato vice presidente vicario, quando presidente era Davide Durante, Bongiorno prima ancora era stato anche presidente del giovani imprenditori.
A chiedergli il pizzo due “picciotti” della mafia castellammarese Gaspare Mulè e Fausto Pennolino, l’ordine arrivava da un mammasantissima, Mariano Asaro, ufficialmente odontotecnico di fatto indiscusso capo mafia del trapanese, proprio uno di quei nomi che oltre che venire fuori nei fatti criminosi più gravi, spunta anche in quegli scenari, in quei crocevia tra mafia, massoneria e servizi rimasti sempre accennati nelle indagini antimafia nel trapanese degli ultimi 30 anni. Stanotte la Squadra Mobile di Trapani li ha arrestati. Gli uomini del dott. Giovanni Leuci, capo della Mobile, si sono presentati nelle abitazioni di Mulè e Pennolino eseguendo anche delle perquisizioni. Il provvedimento restrittivo, emesso dal gip di Palermo Jannelli, su richiesta del procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato e del pm Carlo Marzella, è stato invece notificato in carcere a Mariano Asaro. Asaro, Pennolino e Mulè furono arrestati nel 2007 dalla Dia di Trapani sempre per mafia ed estorsioni. Asaro sta scontando in cella la relativa condanna a 15 anni, Mulè e Pennolino avevano invece patteggiato ed erano tornati liberi. E una volta in libertà si sono presentati a chiedere il “pizzo” a Bongiorno, la rata corrente più gli arretrati. Bongiorno però ha denunciato permettendo alla Polizia di “registrare” la conversazione con Mulè quando questi era tornato all’attacco chiedendo denaro e un posto di lavoro nell’impresa dello stesso presidente di Confindustria. Gregory Bongiorno gestisce una impresa che opera nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti, gestisce appalti e servizi anche fuori dalla Sicilia. Si tratta dell’Agesp. Una impresa fondata dal padre, Vincenzo Bongiorno, vittima di un delitto di mafia nel 1989. Poi le redini passarono alla vedova, Girolama Ancona che nel frattempo decideva di fare allontanare da Castellammare del Golfo i suoi due figli, Gregory e Silvia, mandati a studiare a Varese e Roma. La donna non voleva assolutamente che i figli tornassero in città, ma l’invito non fu accolto e così Gregory si è ritrovato ad occuparsi assieme alla sorella dell’impresa, il cui Cda è presieduto dalla sorella Silvia. A metà degli anni 2000 Girolama Ancona dopo un blitz antimafia da dove emergeva il racket subito si decideva a confermare ogni cosa agli inquirenti, facendo condannare il “cassiere” della cosca castellammarese, Mariano Saracino. Gravemente ammalata e morta di recente, decideva anche di raccontare ai figli le traversie nei tanti anni subiti per la costante ingerenza mafiosa nella gestione dell’impresa. L’odierno racconto di Bongiorno agli investigatori della Mobile ricostruisce quello accaduto dalla morte della madre in poi. E qui ci scappa da ridere anche se il fatto è serio.
Perché ci si accorge che talvolta il passo dalla finzione alla realtà è molto breve. Avete presente il film di Ficarra e Picone e l’esilarante scena in cui nell’albergo ereditato dal padre l’allibito Picone riceve la visita dell’estorsore mandato da “don Mimì”? Ecco quello che è accaduto a Bongiorno è stata la stessa identica cosa. L’estorsore, Mulè nel fatto reale, non solo gli ha chiesto il pagamento della rata da 10 mila euro per l’anno in corso, ma anche gli arretrati, per il periodo in cui loro, i mafiosi, non si erano potuti presentare perché “trattenuti” in carcere, e per gli anni in cui la madre di Bongiorno era ammalata: “noi vi abbiamo rispettato e abbiamo continuato a proteggervi anche mentre tua madre era ammalata, adesso devi pagarci anche gli arretrati”. Bongiorno a sua volta faceva notare che gli era difficile prendere soldi dalla cassa dell’azienda perché soci vi sono soggetti estranei alla stessa famiglia Bongiorno, “nuiatri canuscemo a tia” (noi conosciamo a te) come dire non ci possono essere storie.
Stessa risposta anche quando Bongiorno fece presente a Mulè che come presidente di Confindustria per le regole imposte non avrebbe potuto pagare nulla. Niente, Mulè non ascoltava ragioni. I soldi e fatti i conti si trattava per Gregory Bongiorno di sborsare 60 mila euro. Al contrario di quando accaduto nel film “La Matassa”, quando al cospetto di don Mimì i due sciagurati si videro negare “sconto e dilazioni”, nella realtà Gregory Bongiorno si sentì dire da Mulè che se aveva difficoltà avrebbe potuto pagare anche solo il 50 per cento, 30 mila euro. Bongiorno ha preferito denunciare. Ed ai poliziotti della Mobile ha anche raccontato le estorsioni invece pagate anni addietro, quando Pennolino lo portò innanzi a Mariano Asaro, ovviamente libero, che gli diede istruzioni su come comportarsi e pretese subito 5 mila euro. In altra occasione aveva dato 10 mila euro al solito Mulè. La storia è tutta qui. La novità, per la provincia di Trapani è quella che per la prima volta “c’è un imprenditore che denuncia e fa arrestare i suoi estorsori”. “Il nostro codice etico funziona” dice il presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante. “Gli imprenditori non sono più soli. Oggi c’è una Confindustria che incoraggia la denuncia. Certo una buona percentuale di imprenditori continua a pagare e ancora si deve fare tanto. Ma il caso di Trapani è un modello: in quindici giorni di indagine dalla denuncia sono scattati gli arresti. Se l’operato delle forze dell’ordine fosse sempre così celere, sarebbe un grosso incentivo per gli industriali ma anche per i commercianti”. “Se la richiesta estorsiva fosse venuta fuori da un’inchiesta e non dalla denuncia coraggiosa del presidente di Confindustria, avrebbe rischiato l’espulsione e invece Bongiorno, come Catanzaro ad Agrigento o lo chef Natale Giunta a Palermo hanno seguito la strada giusta, la strada premiante”. Ovviamente non si tratta di una guerra vinta, ma di una sola battaglia. Oggi l’inquinamento mafioso è profondo e la mafia incassa anche da altre fonti e non solo dal racket: “Diciamolo chiaro – osserva Montante – il pizzo e il racket sono il minore dei problemi, la mafia ha affinato metodi pericolosissimi. Si insinua nelle programmazioni industriali, procura commesse, crea e gestisce i rapporti sindacali all’interno delle aziende, offre forniture. E questo strozza e condiziona la vita delle imprese ancor più che il pagamento di una mazzetta”.