Carceri, amnistia unica misura tampone contro sovraffollamento
(di Elisabetta Cannone)
“Alternative? Attualmente non ce ne sono. Ormai tocca cambiare rotta. E adesso c’è perfino una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ce lo ricorda e non è come aver ricevuto uno schiaffetto di biasimo in faccia”. Il coordinatore dell’Unione forense dei diritti umani, sezione siciliana, l’avvocato Ermanno Zancla, nonché promotore e co-amministratore del “Libro bianco carceri”, iniziativa per la tutela dei diritti dei detenuti, parla chiaro e senza mezzi termini: a oggi, in Italia, l’unica soluzione per tamponare il sovraffollamento delle carceri resta l’amnistia. A oltre sei mesi dalla sentenza di Strasburgo “Torreggiani e altri” (era l’8 gennaio 2013), le condizioni dei detenuti, infatti, sono le stesse di quelle denunciate da anni e che di tanto in tanto occupano lo spazio di una articolo sui giornali o un servizio in tv. “Uno dei ragionamenti fatti è stato sulle sezioni aperte, cioè fare passare ai detenuti più ore fuori dalla cella – racconta Alessio Scandurra, uno dei responsabili dell’Associazione Antigone e curatore dei dati dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, che da anni ormai si occupa delle realtà detentive -. Questo però si scontra con un problema strutturale dell’amministrazione penitenziaria che ordina o dispone, emana circolari che non vengono applicate ovunque. E non è nemmeno la panacea – continua Scandurra -, perché aprendo le celle di una sezione si passeggia nei corridoi, ma non si ha nulla da fare: le attività sono poche così come gli spazi dove farle”. A questo si aggiungono anche vecchi e irrisolti problemi strutturali, come spiega ancora il responsabile di Antigone: “Le carceri continuano a cadere a pezzi, i soldi non ci sono. Il che si traduce in un’oggettiva situazione di sovraffollamento ormai cronico. Siamo sempre sulla soglia di questi tre metri quadri, quando vai sotto è un casino e finché stai appena sopra va bene. Però dal punto di vista del detenuto non c’è questa differenza radicale tra stare in 3,15 metri o poco meno di tre metri. Senza contare – conclude – le carenze di manutenzione, per cui piove dentro, c’è la muffa, i danni vengono riparati con grande ritardo: finestre rotte, piuttosto che caldaia. Esposizione debitoria grave nei confronti di tutta una serie di fornitori di acqua, luce, gas. Tutti consumi razionalizzati nel corso dell’anno per mancanza di soldi”.
A pochi mesi dallo scadere del termine massimo, un anno, concesso al nostro Paese dalla Cedu per risolvere la situazione sembrerebbe che il nostro Paese si stia attivando, con una serie di interventi.
“Alcune novità ci sono – precisa Scandurra -, ad esempio la commissione governativa istituita dal ministro Cancellieri presso il ministero di Giustizia e coordinata da Mauro Palma – ex presidente del Cpt e primo presidente di Antigone, ecco perché ci sentiamo rappresentati lì dentro – e poi funzionari dell’amministrazione penitenziaria, Franco Corleone, coordinatore dei garanti dei diritti dei detenuti e l’ex parlamentare Rita Bernardini. I lavori finiranno a novembre e fornirà le sue direttive. Da poco poi – fa notare il responsabile di Antigone – è entrato in vigore il decreto Severino, ma bisogna attendere e vedere l’incidenza sulle presenze detentive. E poi, la grande novità è che quantomeno il Governo ha smesso di introdurre nuovi reati e portare più gente in galera, una tendenza durata a lungo”.
Il rischio, però, come sostengono e temono da più parti associazioni, legali e garanti dei detenuti, è che alla fine lungaggini burocratiche, nuove emergenze e scelte inadeguate si risolvano in un nulla di fatto.
“Il Parlamento ha varato una mini riforma che prevede, tra le altre cose, un parziale svuotamento grazie agli arresti domiciliari per detenuti con fine pena inferiore a 4 anni, riduzione per buona condotta, etc. Ma allo stato, non hanno prodotto granché – racconta Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, una delle regioni incui le condizioni detentive sono tra le peggiori -. In Sicilia, ad esempio, si è passati da 7.100 reclusi a 6.700, a fronte di una capienza regolare che non dovrebbe superare le 5.000 unità. Nel resto del Paese, si è passati da 66.000 reclusi a 64.000. Ben poca cosa rispetto alla capienza regolare, che non dovrebbe superare le 46.000 unità”.
Una condizione che, a ben guardare gli stessi dati consultabili dal sito del ministero della Giustizia non hanno grandissime variazioni negli ultimi anni. Eppure, questa situazione si perenne violazione dei diritti umani, si continua a definirla “emergenza”. “Non si tratta di emergenza, ma di una situazione diventata purtroppo normale – afferma il legale Zancla -. Adesso però tocca fare i conti con la sentenza della Cedu. Ripeto, se il nostro Paese non adotterà l’unica misura al momento possibile, ovvero l’amnistia, si ritroverà con una serie enorme di cause per risarcimento per violazione dei diritti umani. Cosa che in questo periodo di crisi – conclude Zancla -, non credo proprio ci si possa permettere”.
A lui si aggiunge, ancora, il commento del garante Fleres: “La nostra è la “normale emergenza” di un Paese che ha dimenticato di essere stato la patria di Beccaria, Verri, Calamandrei, Sciascia, Tortora e tanti altri – risponde il garante dei diritti dei detenuti siciliano – che, sul tema dei diritti umani hanno costituito dei veri e propri capisaldi della cultura giuridica mondiale. Il fatto grave è che, dalle parti di Palazzo Chigi, ancora nessuno se ne vergogni abbastanza, scaricando sui cittadini le proprie indecisioni e le proprie inefficienze politiche e di governo”.
Amnistia, dunque, come una risoluzione non demagogica e reale per affrontare il problema. Ma come gestirla, specie pensando all’impatto sociale che inevitabilmente avrà sul resto dei cittadini?
“Si tratta di circa 30mila persone a fronte di un Paese con quasi 60 milioni di abitanti – fa notare Scandurra -. E poi di certo quello che non si è fatto in precedenza in termini di recupero e formazione non lo si farà nel tempo mancante per la fine della pena. In ogni caso – tranquillizza il rappresentante di Antigone – i dati dell’amnistia del 2006 dicono che la recidiva degli amnistiati è stata molto più bassa di quella dei detenuti usciti dopo aver scontato tutta la pena. Inoltre, per chi è al primo reato, questo provvedimento rappresenta un disincentivo perché se si ricommette un reato e si viene condannati, ti fai la pena nuova più il residuo che mancava in precedenza”.
Pessimisti su un’effettivo cambio di rotta del nostro Paese sono il garante dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres, “Non c’è la voglia di aprire un dialogo, dunque, risulta difficile ipotizzare qualcosa – commenta -. Si può solo sperare nel buonsenso, auspicando che, per dirla con Manzoni, non si sia nascosto, per paura del senso comune”, e il co-amministratore del Libro bianco carceri, l’avvocato Zancla. “Uno degli effetti della sentenza Torreggiani è di aver congelato denunce simili a quelle che hanno portato alla pronuncia della Cedu – spiega il legale palermitano -, fissando in maggio il tempo massimo per risolvere la questione. Noi intanto stiamo continuando a raccogliere le denunce dei detenuti, anzi invitiamo i legali a chiedere ai propri assistiti di raccontare quali sono le condizioni in cui vivono. Se in estate non sarà cambiato nulla, come sospettiamo purtroppo – conclude Zancla – porteremo a Strasburgo tutte le cause raccolte per violazione dei diritti umani”.