Calabria.La grande fuga di chi può alla ricerca di un’altra vita

(di Aldo Varano)

Francesco Ferro, giornalista dell’Ora, riferendosi alla Calabria, ha scritto: “l’unica soluzione sensata è la fuga. La fuga da una terra che non offre più prospettive, che ha divorato il proprio futuro”.
Nessuno fino ad ora aveva con tanta crudezza proposto il dato di fondo della quesitone calabrese. Dobbiamo ringraziarlo. Ci ha risparmiato l’ennesima mielosa discussione sull’inesistente argomento: è meglio restare o andar via dalla Calabria?
Nessuno ha reagito. Un silenzio denso che rivela paura e rimozione.
I dati Istat su lavoro e occupazione, con le specifiche su Sud e Calabria, sono implacabili. Purtroppo, si “limitano” a confermare la tendenza sempre più marcata che da anni registra il nostro precipitare nel degrado.
In Calabria il lavoro non c’è più. E’ sparita l’attività che costruisce la dignità e l’autonomia della persona. Meno di un calabrese su due ha un’occupazione. Per alcune fasce d’età, i giovani di alcune generazioni, restare significherà rinunciare ad avere una vita normale. Sarà come quando c’è stata la guerra e cancella in blocco alcune generazioni.
Le cose stanno veramente così? Non lo so. So che nessuno smentisce questa analisi che, mentre ci giriamo dall’altra parte, viene riproposta un giorno sì e l’altro pure. Le stime più caute spostano di due decenni e mezzo, se la ripresa partirà subito, il momento in cui terre le marginali, come la Calabria, potrebbero (forse, ma non è detto) ricominciare a respirare. Chi ha trent’anni ed è disoccupato dovrà arrangiarsi fino a ridosso dei sessanta, mentre padri e nonni continueranno a morire incrudendo, col venir meno delle loro pensioni, la loro sopravvivenza disoccupata. Finito il calvario dell’attesa si potrà solo prendere atto che il treno è passato.
La Calabria non riesce a produrre la ricchezza che le serve per vivere e mantenersi. E’ dipendente. E non perché qualcuno le rubi le risorse ma perché quelle dei decenni che abbiamo alle spalle, in gran parte, sono state sprecate e fatte sparire.
La crisi è terribile. Le risorse si sono asciugate. L’alternativa vera non è partire o restare, ma vivere qui restringendo (molto) i consumi o andar via.
Vi diranno che il mancato sviluppo è colpa della ‘ndrangheta. Ignorateli. A dirlo, più o meno consapevoli, saranno gli agenti prezzolati al servizio di un ceto politico incapace e corrotto che s’è tenuta stretta la ‘ndrangheta (e spesso anche l’anti) e, insieme, ha retto il sacco a classi dirigenti – le classi dirigenti calabresi – che, soprattutto negli ultimi 40 anni, hanno barattato la difesa dei propri privilegi col sostegno a governi nazionali quasi sempre nordisti. Contro il Sud, grazie a consensi estorti ai meridionali con un ramificato sistema clientelare che ha sottratto soldi all’innovazione e allo sviluppo bloccando la produzione della ricchezza e la trasformazione.
E’ stato così anche nelle altre regioni meridionali. E’ vero. Ma da noi è stato peggio perché alla voracità delle classi dirigenti si sono sommati svantaggi ancora più antichi rispetto al disastro del regionalismo. La ‘ndrangheta ha avuto un peso rilevante sul mancato sviluppo. Ma ancor di più hanno pesato l’inefficienza delle istituzioni, la povertà di infrastrutture e servizi, una classe politico-amministrativa mai decisamente orientata in direzione dello sviluppo, una burocrazia incapace e servile coi potenti, l’ostilità e l’umiliazione del merito ovunque apparisse.
Ora siamo arrivati al punto.
I nostri giovani, tranne frange irrilevanti, non si chiedono se restare o andar via: quelli che possono vanno. Anzi, se ne sono già andati e continuano a farlo. Possono farlo i privilegiati, quanti sono in condizione di poter finanziare la partenza che non è più quella dei cartoni legati con lo spago ed ha costi altissimi. Va via chi è in grado di comprarsi un’altra vita. Ancora una volta perfino dentro le disgrazie, figli e figliastri.
Serve scrivere queste cose o si alimenta la disperazione peggiorando la condizione di disagio che c’è? Me lo sono chiesto dopo aver letto il corsivo di Ferro sabato scorso. E’ un interrogativo serio, maledettamente complicato. Ma io, con sofferenza, credo abbia fatto bene: le scarse possibilità di una svolta sono collegate a una presa di coscienza collettiva della situazione vera in cui la Calabria si trova. Senza un dibattito ampio capace di provocare una rottura profonda delle culture politiche calabresi e un ripensamento di collocazione delle classi dirigenti, non sarà possibile, come forse ancora lo è, bloccare le tendenze più distruttive e destabilizzanti affrontando la fatica della risalita.
Gli edulcorati uffici stampa che lanciano a getto continuo le dolciastre assicurazioni di chi cerca voti e potere sono, tra tutti, uno dei mali peggiori che devasta la nostra terra.
(da zoomsud.it)