Mafia del Belice, “condannate il clan”
Richieste di condanna per oltre 200 anni di carcere. Destinatari una serie di personaggi che per qualche tempo sono stati il motore della latitanza del super boss Matteo Messina Denaro. Nel processo in corso dinanzi al Tribunale di Marsala c’è anche il capo mafia belicino imputato, per lui, per Matteo Messina Denaro, i pm della Dda di Palermo, Paolo Guido e Marzia Sabella, hanno chiesto una condanna a 30 anni. Non hanno avuto alcun dubbio i pubblici ministeri ad indicare Matteo Messina Denaro quale oggi principale se non unico riferimento delle cosche siciliane. Nel processo in corso a Marsala, e scaturito dalla retata di Polizia denominata “Golem 2”, in totale sono 13 gli imputati. Le richieste di condanna hanno riguardato oltre Matteo Messina Denaro,30 anni, anche Maurizio Arimondi 16 anni, Calogero Cangemi 14 anni, Lorenzo Catalanotto 20 anni, Tonino Catania 21 anni, Giovanni Filardo 21 anni,Leonardo Ippolito 18 anni, Marco Manzo 6 anni, Nicolò Nicolosi 6 anni 3 mesi, Vincenzo Panicola (cognato del capo mafia latitante) 16 anni, Risalvato Giovanni (ex consigliere comunale a Castelvetrano) 25 anni, Filippo Sammartano 5 anni 3 mesi, Giovanni Stallone 4 anni 2 mesi. Associazione mafiosa, favoreggiamento, incendi, danneggiamenti, estorsioni, le accuse in generale contestate agli imputati. Alla sbarra era finito anche l’anziano Nino Marotta, morto di recente, da giovane era uno degli appartenenti alla banda Giuliano, in tempi attuali è stato scoperto fare da consigliere al mafioso latitante, e suggeriva i comportamenti che tutti i componenti del clan dovevano tenere, punto di incontro era l’officina di Leonardo Ippolito, a Castelvetrano. Il processo ha tradito qual è il volto della mafia trapanese. È fatta dei volti di imprenditori, professionisti, di insospettabili commercianti, uomini che hanno scelto di servire il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro non nascondendo la devozione riservata nei suoi riguardi, «è il capo di tutto», così gli investigatori hanno sentito appellare Matteo Messina Denaro da parte di alcuni degli intercettati. Intercettati che parlavano di tutto, addirittura sono stati sentiti protestare contro “l’euro” e dare del “babbo” al presidente del Consiglio Prodi, sono stati ascoltati a parlare di campagne elettorali e a garantire la vittoria del centrodestra, “si acchianano (se vincono ndr) i comunisti semo ruvinati (siamo rovinati ndr)”. Una mafia tutt’altro che remissiva, in ritirata, pronta a compiere balzi in avanti. La mafia trapanese è stata nell’ultimo decennio nelle mani dei più stretti parenti del super boss, il fratello Salvatore Messina Denaro, il cognato Vincenzo Panicola e Giovanni Filardo Loro guidavano il «cerchio» di persone più vicine al latitante, Salvatore Messina Denaro era indicato da tutti come «la testa dell’acqua», e questo accadde all’indomani dell’arresto di suo cognato, il bagherese Filippo Guattadauro, a quel punto toccò a Salvatore diventare il referente per i contatti da e per il fratello latitante. Pizzinari ma non solo perciò sono quelli alla sbarra a Marsala. Giovanni Risalvato è stato sentito dire della sua volontà a mettersi a disposizione per fare da manovale della mafia, andando a bruciare la casa per esempio del consigliere comunale del Pd di Castelvetrano Pasquale Calamia, «punito» in questa maniera per avere auspicato durante una seduta consiliare (presente l’allora prefetto Trotta) l’arresto del latitante così da cancellare la nomea di Castelvetrano città di Messina Denaro. Tra gli episodi contestati, quello dell’attentato incendiario all’imprenditore agricolo Nicolò Clemenza, che voleva costituire un consorzio per riunione i produttori oleari del Belice, cosa questa che a Matteo Messina Denaro pare non andasse a genio.