È un politico privo di etica

I pm della Procura antimafia di Palermo, Paolo Guido e Andrea Tarondo, hanno chiesto la condanna a sette anni e quattro mesi per l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, senatore dal 1994, Pdl e berlusconiano fedele, banchiere, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. “Soggetto accorto, sottile e prudente” lo hanno definito i magistrati, in sostanza l’identikit di quello che può essere il nuovo mafioso appartenente alla mafia fatta da “non punciuti”, “non affiliati” nella traduzione, la mafia del potente super boss Matteo Messina Denaro, che con nel senatore D’Alì secondo i pm ha trovato una precisa sponda, una spalla non su cui piangere, ma con la quale fare affari. Le difese del senatore, avvocati Gino Bosco e Stefano Pellegrino hanno appena cominciato a esporre le loro arringhe, e la parola assoluzione per il loro assistito l’hanno fatta più volte riecheggiare. Fatti non commessi, alleanze inesistenti, riciclaggi mai fatti, terreni venduti davvero e non per finta, vittima e non complice. L’azione antimafia del senatore allora come la si misura? E’ stato sottosegretario all’Interno, uomo al Viminale, laddove se voleva contrastare il fenomeno mafioso avrebbe potuto farlo…lo troviamo in quegli anni dal 2001 al 2005 sostanzialmente impegnato ad occuparsi di “grandi eventi”, di far spendere in un baleno 100 milioni di euro per il porto di Trapani, un’altra decina di milioni di euro per il risanamento dell’antica litoranea cittadina, guarda caso due grandi appalti andati nelle mani di uno stesso imprenditore, Francesco Morici, il figlio di questi Vincenzo un giorno parlando con un altro imprenditore ebbe a dire che il loro rapporto con D’Alì era così intimo che quegli appalti, ancora non banditi se li sarebbero aggiudicati looro. In effetti così avvenne. Ai due Morici padre e figlio di recente la Questura ha sequestro il loro patrimonio, 30 milioni di euro, ipotesi quella che sotto sotto c’era un filo che li collegava al capo mafia Matteo Messina Denaro. Il processo è in corso, la sentenza si avrà si pensa a luglio, il dibattimento però non fa parte e non ha mai fatto parte della cronaca giornalistica di Trapani, non è oggetto di dibattito, anzi l’indomani della richiesta di condanna in Consiglio comunale il senatore D’Alì è stato ringraziato per avere evitato un ulteriore indebitamento del Comune che avrebbe dovuto pagare allo Stato un salata multa per avere violato il patto di stabilità. Grazie D’Alì. I giornali hanno dato notizia della richiesta di condanna con un paio di righe in cronaca, dove di questo paio di righe mezza dedicata alla richiesta dell’accusa, il resto alle dichiarazioni dei difensori. Il contenuto della requisitoria? Sui giornali locali non ce ne è traccia. E’ cosa normale e nessuno se ne lamenta. Oggi sui giornali c’è la notizia dell’arringa, qualcuno, chissà forse per inesperienza o per altro, a rendere più esplicito il contenuto ha rimarcato essere arringa difensiva, le arringhe possono essere solo degli avvocati della difesa, titoloni a tutta pagina in questo caso, a s s o l u z i o n e scritto a caratteri cubitali, e così tutti sono contenti. Nell’ultima udienza però c’è stato anche altro. L’intervento dell’avv. Enza Rando, rappresentante della parte civile dell’associazione Libera. Rispettosa della decisione che prenderà il giudice, gip Gianni Francolini, l’avv. Rando ha però a chiare lettere la condanna morale che l’ex sottosegretario si porta addosso, reato, “avere vilipeso l’etica in politica”. “Condividiamo l’analisi dei pm sui contatti strategici tra l’imputato e la mafia, ma aggiungiamo oggi che in quest’aula abbiamo le prove di come l’imputato abbia operato anche per annullare qualsiasi etica in politica…Diverse sono le condotte poste in essere dal D’Alì finalizzate a mettersi a “disposizione” dell’associazione mafiosa, sia con operazioni di intestazione fittizia di beni e riciclaggio, sia agevolando l’associazione mafiosa nel controllo del settore della commercializzazione del calcestruzzo, come pure nel controllo di appalti pubblici, rafforzata, ancora, la sua condotta collusiva grazie alle sue funzioni politiche ed istituzionali…Non si può qui scordare il volto sofferente e triste del Prefetto Sodano, che rappresentava lo Stato quando cercava in tutti i modo di onorare la sua funzione, agevolando l’applicazione della legge 109/96 sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia, e il volto del D’Alì che cercava di garantire e favorire la vendita di un bene confiscato ai mafiosi fino al punto di sollecitare il trasferimento, ad altra sede, del Prefetto Sodano, che in quel momento stava conducendo un grande battaglia per l’affermazione della legalità e di un principio costituzionale che è quello che è consacrato nell’art. 54 della Cost., “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno di dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalle leggi”. Il senatore D’Alì offende ogni forma di etica: “Ad un cittadino cui sono affidate funzioni pubbliche è richiesta una maggiore responsabilità, perchè ogni suo comportamento, ogni suo atto, può rendere credibile le istituzioni democratiche, e può garantire la dignità di uno Stato democratico, oppure offendere le istituzioni.. Un Senatore della Repubblica di quel territorio ha il compito preciso di stare accanto al Prefetto della Repubblica Italiana, dott. Sodano nella battaglia per l’applicazione di una legge dello Stato, il D’Alì, forte del suo ruolo istituzionale invece isola l’azione fattiva e importante del volto pulito dello Stato, il Prefetto Sodano favorendo così le attività criminali di Cosa Nostra”. “I cittadini e le associazioni aderenti a Libera avrebbero colto con grande favore la scelta di grande senso civico dei partiti che si rifiutano di candidare un soggetto indagato per reati che favoriscono le mafie e le corruzioni, e avrebbero gradito che un rappresentante delle istituzioni indagato di un reato così grave (diversi collaboratori di giustizia hanno riferito del ruolo di “referente” del D’Alì) si sarebbe dovuto dimettere dalla carica di senatore della Repubblica. Libera è sempre rispettosa del dettato costituzionale e cioè che un cittadino deve essere considerato innocente fino alla sentenza definitiva di condanna, ma ci ha anche insegnato che ad un rappresentante delle istituzioni democratiche è chiesto qualcosa di più poiché deve tutelare e custodire la dignità delle istituzioni, e se con la sua presenza offende le istituzioni è obbligato a dimettersi…”.Libera ha chiesto un risarcimento di 500 mila euro: “Spenderemo questi soldi se ci verranno riconosciuti per portare avanti due progetti di impegno civile un progetto sarà destinato alle scuole della città per l’affermazione della cultura della legalità, e un progetto sarà rivolto alle Università e verterà sulla tematica dell’Etica delle imprese e delle professioni ed Etica della Politica”. Si è vero su questo campo ancora tanti hanno da imparare e non solo il senatore Tonino D’Alì.