Rancore e disperazione
E’ crisi, disperazione di massa, fallimento individuale che diventa rancore sociale, colpa da attribuire agli altri, alla politica, soprattutto. In un Paese dove da anni proprio la politica occupa uno spazio illimitato, la rabbia si rivolge contro chiunque rappresenti il potere. E allora si protesta, si tenta il suicidio, si spara, proprio davanti a quei luoghi che sono icona di un potere politico che non sa dare risposta al disagio. Sono questi i pensieri che frullano nella mente di chi decide il gesto eclatante, quello che fa parlare di te e della tua storia disperata nei talk-show televisivi, sui giornali e sui social network. Avrà pensato tutto questo il pensionato sessantaseienne che il 3 novembre di due anni fa decise di darsi fuoco a pochi passi da Palazzo Chigi. Lì c’è il potere, quello governativo, lì ci sono i ministri, quelli che rendono la mia pensione inservibile, carta straccia, davanti a loro la faccio finita. Per fortuna, al pensionato in questione che si cosparse di benzina a Piazza Colonna, all’ingresso della Galleria Sordi, andò bene. Fu salvato e se la cavò con piccole ustioni. E che dire dell’appello accorato dei dipendenti di Equitalia, costretti a vivere nei loro uffici come in dei fortilizi assediati. Hanno paura di attentati, plichi e lettere esplosive e chiedono aiuto. La gente colpita da cartelle esattoriali pesantissime e spesso ingiuste li vede come avvoltoi, succhiasangue, esattori senza scrupoli. Vanno avanti così le cose in un periodo in cui la politica, anche quando sta all’opposizione e pretende di organizzare il disagio sociale, non trova le parole giuste. Il dissenso si rivolge contro chiunque rappresenti lo Stato. I due carabinieri colpiti ieri davanti a Palazzo Chigi, le due impiegate della Regione Umbria uccise a Perugia il 6 marzo scorso. Il loro assassino, Andrea Zampi, un imprenditore, le riteneva responsabili dei suoi guai economici. La Regione doveva dargli dei finanziamenti e lui era stanco di aspettare. L’uomo entrò negli uffici di Palazzo Broietto, impugnò una pistola e colpì a morte Daniela Crispolti, 46 anni, e Margherita Peccati, 61. Per lui le donne erano la politica, la Regione, il potere da distruggere. La povera Daniela era una precaria, Margherita era in attesa della pensione e del riposo dopo un trentennio di lavoro. L’odio acceca, la soluzione individuale a problemi che invece sono di tanti esalta, il gesto “eclatante in un giorno importante” è vissuto con insensato eroismo vendicativo. Melissa Bassi, la studentessa della scuola Falcone-Morvillo, è morta per questo. Le sue compagne porteranno per anni le ferite sui corpi per questa follia che sta dilaniando l’Italia. Era il maggio del 2012 quando Cosimo Vantaggiato decise di far esplodere una bomba davanti a quella scuola intitolata alle vittime della strage di Capaci. Voleva vendicarsi di torti subiti, di truffe che lo avevano visto come vittima e colpì. Era l’anniversario della morte di Falcone e subito si pensò a manovre, manine esperte in strategia della tensione sempre attive nel paese delle stragi impunite. Anche in quella tragedia, l’Italia intera fu scossa dai dubbi e dalla paura del ritorno dell’incubo del terrorismo e tirò un sospiro di sollievo quando l’uomo delle bombe confessò. Ma nell’Italia di oggi c’è una differenza drammaticamente forte con gli anni bui delle stragi. Allora il Paese seppe resistere perché forte era la coesione sociale. Oggi, il tessuto si è strappato. Tutti sono contro tutti, e ognuno vuole risolvere da sé drammi e disagi che invece toccano ampi strati della società. Come Luigi Preiti, “con un gesto eclatante in un giorno importante”.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 29 aprile 2013)