Messina Denaro e gli interessi in Liguria
Un sistema tutto siciliano: una serie di società, imprese preferibilmente edili, costituite una sulle ceneri dell’altra, casseforti che transitano dietro fallimenti provocati, certificazioni antimafia facilmente ottenuti considerata la “verginità” imprenditoriale prospettata all’ufficio della prefettura, partecipazioni a gare di appalto con ribassi anche vertiginosi, preventivi fasulli per giustificare i costi elencati, e poi opere che restano incompiute e imprese che spariscono portandosi via i soldi pubblici. Semplice, tutto troppo semplice. E’ forte il rischio però di essere scoperti, ma il danno è minimo. Turbare oggi in Italia una gara di appalto comporta solo ammende come condanne, finisce in carcere chi ruba una saponetta al supermercato, ma chi truffa negli appalti se la cava con poco e nel frattempo però i soldi spariscono per sempre. C’è la mafia dentro questi affari, considerato il basso rischio penale meglio turbare un appalto che fare un traffico di droga. L’ultimo, in ordine di tempo, di questi interessi mafiosi è stato scoperto in un luogo lontano dalla Sicilia, in Liguria, ad Imperia. Quattro persone sono state raggiunte da una misura cautelare, misura interdittiva e obblighi di dimora e di firma. Due sono soggetti di Imperia, altri due sono siciliani, uno di Agrigento e un altro di Mussomeli. Il pm della Procura di Imperia Maria Di Lazzato ha chiesto e ottenuto dal gip Massimiliano Botti una misura cautelare per Giuseppe Piazza, imprenditore, ritenuto la “mente” del clan, di 51 anni, per il quale è stato disposto il divieto di esercitare la professione di geometra e di ricoprire incarichi direttivi; obbligo di firma, invece, per Luca Ricca e Alessandro Lauricella, e obbligo di dimora per Salvatore Crispino. Una indagine nella quale compaiono altri nomi di indagati, altri imprenditori che si prestavano a favorire i loro “colleghi” fornendo loro preventivi per forniture che dovevano servire a giustificare maxi ribassi d’asta, soggetti che sarebbero “in odor di mafia”. Tra i nomi venuti fuori quello di Mario Davilla, agrigentino, condannato a 11 anni per associazione mafiosa, “padrino” di Alessandro lauri cella. Davilla figura nell’organigramma più recente della mafia della provincia di Agrigento quella che riorganizzata dal boss latitante Matteo Messina Denaro, Un “clan” che avrebbe messo gli occhi su un “affare” che se davvero fosse stato “conquistato” poteva permettere lucrosi guadagni: è sfuggita agli imprenditori indagati, per i sospetti insorti all’amministrazione comunale di Pieve di Teco (Imperia), l’assegnazione della gestione dell’acquedotto comunale. Uno “sgarbo” tanto che per ripicca sarebbero stati i 4 indagati a organizzare l’incendio del portone del Municipio. Truccando appalti avrebbero guadagnato 1 milione di euro, soldi non più trovati, come sono svaniti altri 7 milioni di euro che erano nella cassaforte di una impresa fallita, la “Generali Costruzioni” che la Guardia di Finanza che ha condotto le indagini ha ricondotto al principale degli indagati, Giuseppe Piazza.