Le imprese della nuova mafia

Ammonta a 30 milioni di euro il sequestro di beni messo a segno stamane da Polizia e Guardia di Finanza. Il provvedimento emesso ai sensi della normativa antimafia dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, ha riguardato due noti imprenditori siciliani, Francesco e Vincenzo Morici, 79 e 50 anni, padri e figlio. Secondo indagini condotte nell’ultimo decennio risultano coinvolti nel sistema di connessione tra la mafia e le imprese realizzato dal boss latitante Matteo Messina Denaro, ma a loro carico si ipotizzano episodi di corruttela, di turbativa degli incanti e di frode nelle pubbliche forniture, in concorso con politici e burocrati comunali. Indagini aperte presso la Procura antimafia di Palermo e la Procura della Repubblica di Trapani. In poco tempo questo è il 4° dei grandi sequestri di beni contro soggetti che non hanno rispettato la “distanza di sicurezza” dalla mafia, anzi hanno frequentato le sue segrete stanze, condiviso scelte e strategie. Un lavoro certosino condotto dalle Fiamme Gialle che hanno scandagliato decine e decine di conti correnti, letto montagne di libri contabili, controllato fatture e brogliacci, lavoro dal quale sono emerse sperequazioni incredibili, ma la parte investigativa più rilevante, quella servita a descrivere il mondo delle connivenze criminali, è stata condotta anche in questo caso come nei precedenti dalla rivitalizzata divisione anticrimine della questura di Trapani diretta dal dott. Giuseppe Linares.Le conclusioni investigative sono state fatte proprie dal questore Carmine Esposito che ha chiesto e ottenuto dai giudici del Tribunale il sequestro preventivo di un ingente patrimonio immobiliare e mobiliare, quote societarie e proprietà intestate ai Morici padre e figlio, sparse in mezza Italia, da Trapani a Roma, sino a Milano, Gorizia e Pordenone.
Potenti Francesco e Vincenzo Morici. Francesco da decenni è un intraprendente imprenditore edile, suo figlio Vincenzo è stato anche al vertice degli organi sindacali di Confindustria, ha guidato l’Ance in un periodo in cui erano soventi i suoi interventi contro i ribassi d’asta eccessivi in molte gare di appalto. Omaggiati e rispettati. Premiati pubblicamente anche in occasione di manifestazioni di grande risalto, Francesco Morici è stato anche nominato cavaliere, d’altra parte nel nostro Paese questo è un titolo onorifico che non si nega a nessuno e bastano i giusti appoggi per ottenerlo. E i due Morici questi giusti appoggi li avevano, soprattutto sono loro serviti per conquistare in modo facile facile appalti per decine e decine di milioni di euro. Mafia e politica. Grandi boss e grandi politici. Di mezzo anche “grandi eventi”. Un mixer terribile per i suoi risultati: soldi pubblici inghiottiti, svaniti, finiti nelle casseforti di Cosa nostra, nelle tasche di politici e burocrati, in tasca alle stesse imprese, appalti realizzati utilizzando anche materiali scadenti o in quantità inferiori a quelle indicate nei capitolati. Grandi infrastrutture a rischio come le nuove banchine del porto o la Funivia Trapani Erice, mura antiche che hanno resistito per secoli messe in pericolo da lavori condotti in maniera poco ortodossa. Lavori pubblici che non si sono nemmeno conclusi e che hanno avuto bisogno di interventi di sostegno e recupero in corso d’opera, imprese che avrebbero dovuto ricevere contestazioni e ammende e invece addirittura hanno beneficiato di somme ulteriormente elargite, appalti che in nome della regolare esecuzione si finiva con il fare passare da impresa a impresa, a conclusione di vertici tenutesi peraltro in sedi autorevoli come quella della prefettura di Trapani, e invece queste decisioni finivano al solito con l’aiutare “gli amici degli amici”. Episodi risalenti alla metà degli anni 2000, quando a Trapani si rifaceva il porto spendendo oltre 100 milioni di euro per accogliere le barche della Coppa America, o ancora per recuperare il centro storico della città. I Morici c’erano sempre e con loro la politica che sponsorizzava questi interventi. Il nome dei Morici in queste vicende diventate di natura giudiziaria è costantemente affiancato a quello del senatore ed ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, Pdl, nel processo col rito abbreviato che lo vede a Palermo imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, c’è depositato un lungo elenco di appalti pilotati, e proprio degli appalti oggi contestati ai due Morici, e c’è descritta la longa manus distesa su questi appalti dal boss latitante Matteo Messina Denaro e il capo mafia ricercato da 20 anni, dal giugno 1993, è ampiamente citato nel blitz Corrupti mores che oggi ha portato al sequestro di beni contro i Morici, padre e figlio. Un cerchio che si è chiuso. Il senatore D’Alì avrebbe garantito la parte politica di questi appalti, Matteo Messina Denaro attraverso i capi mafia Vincenzo Virga e Francesco Pace ha fatto il resto. A completare lo scenario burocrati e funzionari pubblici oltremodo compiacenti. Ma che c’era la regia mafiosa lo sapevano in tanti a Trapani anche soggetti fuori da questo scenario. Che a Trapani esisteva una sorta di comitato di gestione, una cupola per la gestione degli appalti, non era una circostanza del tutto sconosciuta, cupola dalla quale nel corso di 10 anni sono transitati i destini di appalti per oltre 100 milioni di euro, oltre a quelli già citati, anche la costruzione di una galleria sull’isola di Favignana, lavori in ospedale, costruzione di edilizia residenziale, posa di fognature, fognature super moderne e realizzate con sistemi innovativi, e però laddove questi lavori sono stati condotti la città ha cominciato a subire conseguenze non proprio simpatiche e così oggi basta un po’ di pioggia per vedere finire sott’acqua addirittura zone che mai prima si erano allagate, come quelle del porto. A tradire i comportamenti illeciti dei Morici e dei loro soci si sono decine e decine di intercettazioni che hanno confermato “la piena adesione dei due Morici al cartello di imprenditori asserviti alle dinamiche di “cosa nostra” trapanese, in cui hanno consapevolmente operato, quale vero e proprio unicum imprenditoriale, finalizzato al controllo occulto dei più importanti pubblici incanti. Francesco e Vincenzo Morici rappresentano per i giudici espressioni della cosidetta borghesia mafiosa “che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità mutualistica all’associazione mafiosa “cosa nostra”, figura che le più recenti sentenze penali riguardanti le indagini sui mandamenti mafiosi della provincia di Trapani hanno visto imporsi in un vincolo di strumentale collusione e ciò a prescindere da una qualsivoglia formale adesione alla stessa”. Niente più riti particolari, ma basta una stretta di mano, una pacca sulla spalla, è la mafia che si presenta in questa maniera, indossando grisaglia e tenendo strette valigette piene di denaro. Le mani però sono le stesse che hanno premuto timer e impugnato armi, ieri come ancora oggi sporche del sangue di tanti morti ammazzati, sangue che però ad alcuni imprenditori non ha fatto così tanta impressione.