Errori giudiziari e responsabilità civile dei magistrati

(di Jana Cardinale)

“Vengo qui a portavi la mia testimonianza, a raccontarvi la mia storia, affinché Enzo Tortora non venga dimenticato. Affinchè il caso “Tortora”, che i più giovani ricordano, forse, vagamente, resti bene in mente a tutti… La sua storia, il suo essere stato un cittadino modello, da imputato, da detenuto, da politico… Dovrebbe essere un esempio anche per le istituzioni. Soprattutto in un momento come il nostro, in cui si verifica l’esatto contrario di quello che fu il suo percorso, e in cui spesso molti politici vedono nella loro carriera un escamotage per sfuggire alle loro responsabilità, e non di certo un palcoscenic privilegiato, una sorta di megafono grazie al quale farsi portavoce dei problemi dei più deboli”. Con queste parole, di fronte a un pubblico numeroso, composto soprattutto da giovani avvocati, la Senatrice Francesca Scopelliti, presidente della Fondazione Internazionale per la Giustizia “Enzo Tortora”, ha esordito, all’ex Convento del Carmine, alla conferenza sugli errori giudiziari e sulla responsabilità civile dei magistrati organizzata dall’Ordine degli avvocati, in cui è intervenuta come relatrice, per riportare la sua personale testimonianza sul caso giudiziario del noto presentatore, di cui è stata compagna. Un intervento appassionato, intenso, e a tratti – per sdrammatizzare un argomento sempre attuale e complesso – anche “simpatico”, ma costantemente determinato a chiedere attenzione su un tema troppo trascurato. Francesca Scopelliti è intervenuta dopo il presidente dell’Ordine degli avvocati, Gianfranco Zarzana e l’avvocato Giacomo Frazzitta, che l’hanno introdotta, nonché dopo il presidente del tribunale, Gioacchino Natoli: proprio a quest’ultimo si è rivolta, in chiusura del racconto della propria esperienza, per chiedergli di farsi garante, a Marsala, di un sistema che “custodisca” il delicatissimo lavoro giudiziario, impedendo ai magistrati di prestarsi alla brutale pratica della spettacolarizzazione della giustizia nei vari livelli. Agli addetti ai lavori, invece, ha chiesto di prestare il doveroso scrupoloso, consapevoli che compito dei giudici è quello di condannare i colpevoli certi, non di agire come i padroni delle vite delle persone. . E Francesca Scopelliti ha ancora fiducia nella politica? Nella Giustizia Italiana? < Purtroppo gli ultimi fatti, anche politici, di questi ultimi mesi – conclude - impediscono a chiunque, anche armato di buona volontà, di avere fiducia in questa classe politica, che ormai è troppo preoccupata a difendere e coltivare i propri status, e non è capace di guardarsi intorno e capire quali sono i bisogni della società, compreso quello della giustizia giusta. Il fatto stesso che nella campagna elettorale nessuno abbia affrontato il tema giustizia, che nessuno abbia detto “è necessaria una riforma”, è scoraggiante. Anzi ancor peggio, prima che finisse la legislatura e prima di andare al voto, la Ministro Severino aveva portato in aula un argomento che, legato al provvedimento contro la corruzione, voleva anche risanare le carceri, ma non è stato fatto. Perché la politica è troppo preoccupata e troppo occupata a risolvere i suoi problemi interni. E’ una politica sorda, cieca, ma purtroppo non muta, anzi, parla troppo>. Tra i momenti più emozionanti del suo intervento a Marsala, la lettura di una delle diverse lettere che Enzo Tortora le scrisse dal carcere, dove finì per essere stato pesantemente accusato di essere membro della Camorra e trafficante di droga, il 17 giugno 1983. Le accuse della Procura di Napoli nei confronti del presentatore e giornalista, si basarono sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso detto “Gianni il bello”, e di Pasquale Barra, cui si aggiunsero quelle, rivelatesi anch’esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, e di sua moglie Rosalba Castellini. 15 settembre 1986 Enzo Tortora venne assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Napoli e i giudici smontarono in tre parti le accuse rivolte dai camorristi che, secondo i giudici, avevano dichiarato il falso allo scopo di ottenere una riduzione della loro pena. Altri, invece, non legati all’ambiente carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda.