Una storia di amore contrastata e la violenza contro una bambina

Un giorno d’estate del 1982 tra le baracche di Castelvetrano nel Belice. Sono già trascorsi diversi anni dal terremoto ma quelle baracche sono ancora lì, la Sicilia è abituata alle sofferenze e i siciliani e chi abita in quelle casupole di legno sembra non farci più caso. Davanti a quelle baracche ci sono spazi aperti, luoghi spesso sporchi e malandati ma sono gli spazi dove tanti bambini si ritrovano a giocare. Bambini spesso lasciati alle cure dei nonni, i genitori o sono emigrati o si alzano di buon mattino per andare a lavare nei campi e da quei luoghi tornare solo molto tardi. In quel giorno d’estate alcune sorelline erano a giocare fuori davanti alla baracca della nonna, quando la più grande di loro, nove anni, viene richiamata dallo zio, dal fratello della mamma, che la prende per mano e la porta dentro la baracca. La più piccola segue la scena e a un certo punto non vedendo tornare indietro la sorellina decide di entrare dentro la baracca anche lei, sente dei rumori provenire da dentro la camera da letto la cui porta è chiusa, bussa e chiede di potere entrare, è curiosa di sapere cosa stanno facendo la sorellina e lo zio…questo si sente alzare la voce e gridare alla nipote che non può entrare. Lei allora torna fuori e qualche minuto dopo vede uscire lo zio e la sorellina che ha gli occhi lucidi come se avesse appena pianto. Poi tutto ritorna come normale. La vita continua a scorrere in mezzo a quelle baracche, quelle sorelline crescono, di tanto in tanto quando la più piccola le capita di parlare di “quello” zio con la sorella più grande, magari apprezzandone le bontà, subisce sempre la stessa reazione talvolta violenta nelle parole, irata, la più grande di bontà in quell’uomo non ne vede e rimprovera la sorella. Passano gli anni e dentro quella famiglia accadono vicende particolari, la mamma di quelle bambine decide di lasciare il marito e va a convivere con il cognato, col marito della sorella. Questi due a loro volta si erano sposati anni prima dopo che lui aveva messo incinta la futura moglie. Matrimonio riparatore fu imposto dai familiari della donna, soprattutto dai fratelli maschi che erano i più irati per quello che era accaduto, lui però era della sorella più grande della moglie che era innamorato e così quando le cose definitivamente si spezzarono i due cognati finirono con l’andare a convivere insieme. Marito e moglie fanno i pastori, badano ad un gregge, nel frattempo non vivono più nelle baracche ma sono tornati a vivere in un casa “normale” a Campobello di Mazara, sempre nel Belice. La famiglia di lei però non gradisce l’accaduto, i maschi soprattutto, anche quello zio che anni prima con la violenza e le minacce ripetute a stare zitta si era impossessato dell’innocenza di quella nipotina, covano sentimenti di vendetta. Anzi proprio quello zio mette in atto la tragedia, fa sapere in giro che l’uomo che convive con la sorella “si curca ca figlia ranne”, cioè che la figlia maggiore della sorella, quella nipote che lui aveva violentato. Quell’uomo sa che quella che è oramai già diventata una ragazza ha perduto la verginità, con le voce messa in giro induce la sorella a portare la figlia a fare una visita ginecologica, dinanzi al responso che lui sa già quello che sarà nessuno potrà mettere in dubbio la sua parola contro quell’uomo che aveva abbandonato la moglie per andare a vivere con la cognata. Per essere sicuro di quello che accadrà manda la moglie ad accompagnare la sorella e la nipote alla visita ginecologia. Era la mattina del 24 agosto del 1990. Quella bambina diventata ragazza però nel frattempo ha deciso di raccontare alla madre quello che le era accaduto tanti anni prima nella baracca della nonna a Castelvetrano. Di quello zio che l’aveva presa con forza, di quel sangue che lei aveva perduto, del dolore provato, disse alla madre che solo crescendo aveva capito cosa le era successo, cosa le aveva fatto lo zio. Quel 24 agosto 1990 è un susseguirsi di avvenimenti, la visita ginecologica conferma la violenza subita dalla bambina, lo zio percepisce che per lui le cose non si mettono bene, giorni prima presagendo la scoperta del “fattaccio” con l’aiuto dell’altro fratello si era messo in giro alla ricerca dell’ex cognato portando appresso nell’auto un fucile, non sapeva che l’uomo nel frattempo per fugare ogni dubbio sul fatto che mai avrebbe toccato la figlia della sua convivente era andato a vivere altrove, a casa di un conoscente con il quale quel 24 agosto del 1990 pranza assieme alla convivente e alla figlia appena tornate dalla visita ginecologica. Finiscono il pranzo e vanno i due nel loro ovile, assieme alla ragazza. Sono gli ultimi istanti della loro vita perché nell’ovile poco dopo sopraggiungeranno i due fratelli della donna, senza pietà uccidono l’uomo e la loro sorella, non vedono la nipote perché lei è sotto ad un’auto a prendersi cura del cane. Sarà ancora lei a dovere provare dolore e paura, a correre verso la casa dei familiari a dire quello che era successo all’ovile. Le indagini dei carabinieri però non riescono a svelare tutto questo scenario, quei due morti resteranno senza indiziati e colpevoli, anzi il sospetto cade sul fratello dell’uomo ucciso ma lui non c’entra nulla. Le indagini sul duplice delitto vanno in archivio. E ci restano fino al 2010. Quando il figlio maggiore dell’ucciso chiede alla Procura di Marsala l’accesso agli atti di indagine. Perché quella curiosità si chiedono alla Procura di Marsala. Le indagini vengono riaperte, scattano le intercettazioni, due anni di lavoro investigativo, e oggi gli arresti, la storia viene fuori, in termini moderni si potrebbe parlare di un “Cold Case” ma più che altro restando con i piedi in questa Sicilia che non abbandona le sue omertose abitudini, sembra la trama di un racconto dedicato alla Sicilia ancestrale, la Sicilia di un tempo, dei padri padroni, in questo caso degli zii padroni, orchi e violenti, e invece è un fatto reale. Due persone oggi sono stati arrestati dai carabinieri, i fratelli Michele e Giuseppe Vaiana, autori di quel duplice omicidio. Giuseppe è lo zio che aveva commesso la violenza sessuale sulla nipote e uccide sia per punire lo sgarro della coppia che con la loro decisione a convivere avevano provocato scandalo in quella famiglia, sia per coprire l’unica vera nefandezza che tra le pareti di quella baracca lui aveva commesso. Michele invece partecipa al delitto perché non ha riottenuto dalla sorella un prestito di 13 milioni. A condurre le indagini è stato il pm della Procura di Marsala Dino Petralia. Il caso vuole che lui ha riaperto una indagine archiviata dalla moglie, oggi presidente di sezione a Trapani, dott. Alessandra Camassa, quando lei era pm alla Procura di Marsala. Il pm Camassa si era imbattuta in un muro di silenzi, omertà, quel duplice delitto era come se non appartenesse a nessuno. Adesso si capisce bene il perché.

E’ vero come scrive il pm Petralia che “ci sono omicidi che per impeto e spettacolarità consentono prove dirette e contemporanee di responsabilità; altri che irrompono nell’intreccio dei moventi e nell’intrigo dei sensi, ostici per ciò solo ad una lettura rapida e risolutrice, ma che promettono prospettive; omicidi ancora che l’abbaglio dell’apparenza produce percorsi variegati e alternativi di colpa, destinati ad infiammare platee avide di sapere e desiderose di parteggiare; non per questo votati ad un successo maggiore e però generatori di infiniti scandagli investigativi. Dunque, fatti ardenti, palpitanti, che tali restano per sempre, con o senza colpevoli. Ci sono omicidi, poi, per così dire minori, per fatalità di luoghi e di persone privi di mordente, improduttivi di grinta indagativa, destinati all’archivio nell’atto stesso del loro consumarsi, rassegnati a quell’inabissante oblio che per un paradosso sottoculturale diffuso nelle nostre terre trova spesso consenso, se non vero e proprio gradimento, nei medesimi parenti della vittima. Del duplice efferato omicidio di un uomo e di una donna, due modesti pastori noti soltanto nel piccolo agro belicino di residenza – il trentenne Paolo Favara e la trentatreenne compagna Caterina Vaiana – fatto accaduto ventidue anni fa nella generale indifferenza di un parentado ostile per scelta e per necessità di costume al legame adulterino tra i due, mai nulla si sarebbe tornati a dire e a fare in sede giudiziaria se le delazioni di un detenuto – Salvatore Adamo, compagno di cella del fratello dell’ucciso – sulle confidenze da questi ricevute e la contemporanea curiosità (di cui appresso si dirà) del giovane Giovanni Vincenzo Favara classe 1981, figlio di Paolo e nipote della Vaiana, non avessero stimolato, ognuno per gli spunti offerti, un’insperata ripresa delle investigazioni”.
L’indagine riaperta in questi due anni ha incontrato un “rancore silente” che ancora covava dentro quello famiglia nei confronti degli uccisi e adesso anche nei con fronti di chi voleva andare a cercare la verità…mio nipote diciamo mio nipote che non mi viene niente a me…figlio di quella grande troia di mia sorella…Vanni (Giovanni) Vanni Favara se ne è andato al Tribunale di Marsala…io voglio sapere come hanno ammazzato a mia sorella…a mia madre…a mio padre…(inc.)…e sono incominciate ad uscire tutte queste cose e hanno chiamato interrogazioni sua madre suo cognato sua sua sua zia…(inc.)…due anni…puttane tutte e due perché sono troie tutte e due…se mi avessero detto mai una parola…a dirmi mi hanno chiamato per questa cosa…(inc.)…dopo due anni hanno chiamato a mia sorella ah”.
“Ci sono omicidi – scrive concludendo il pm Petralia riuscendo anche nell’opera di essere un illustre letterato – per così dire minori, destinati ad investigazioni stentate ed esangui, contaminate da reticenze ostacolanti ed irrisolte, pronti all’archivio per stessa volontà d$ei familiari delle vittime, desiderosi di silenzio più che di clamore investigativo. Paolo Favara e Caterina Vaiana, due contrastati amanti di un retroterra culturale isolano che stenta a scomparire, sono state due vittime del genere, un po’ ingenue e un po’ sfrontate. Comunque dimenticate. Oggi, dopo 22 anni, Paolo e Caterina rivivono la loro storia e la risolvono come Giustizia vorrà”.