Tunisia: l’inferno a pochi passi dall’Italia/2

Chokri Bealid
Chokri Belaid aveva appena denunciato il rischio di una “libanizzazione” della Tunisia. Ieri mattina gli hanno chiuso la bocca per sempre. Due killer in moto lo hanno freddato a pochi passi da casa sua nel quartiere residenziale di El Menzah a Tunisi. Quattro colpi per eliminare una delle voci più potenti contro l’estremismo salafita che da mesi infiamma la Tunisia. Quarantotto anni, di professione avvocato, Belaid era il segretario del Partito dei patrioti democratici e aveva riunito le varie sigle della sinistra tunisina nel “Fronte popolare”, che insieme all’altro cartello di ispirazione burghibista, “Appello alla Tunisia”, insidia il potere del partito islamista Ennahda.
L’assassinio di Belaid è unanimamente ritenuto un omicidio politico annunciato da attentati e attacchi ai partiti laici da parte degli estremisti salafiti, per questa ragione fin dalla mattina si sono scatenati scontri e proteste violente in tutto il Paese. Per ore migliaia di persone hanno assediato il ministero dell’Interno in viale Bourghiba, la strada più importante di Tunisi, scontrandosi per ore con la polizia, a Sousse e Gafca sono state assaltate e distrutte molte sedi di Ennadha, a Beja la polizia non ha retto agli scontri e si è ritirata, da quel momento è iniziata una vera e propria caccia ai militanti islamisti. La situazione è gravissima, tanto che in serata il premier Hamadi al Jebali ha annunciato la formazione di un nuovo governo fatto esclusivamente da tecnici. “Un governo di unità nazionale – ha detto in un appello al Paese – per portare la Tunisia ad elezioni libere e trasparenti”. Ma non sono serviti a placare gli animi neppure le prese di posizione dei vertici istituzionali e dei leader di Ennadha. Il presidente Marzouki ha annullato tutti gli impegni all’estero e invitato i tunisini alla pace, Rached Gannouchi, leader del partito islamista, ha duramente condannato l’omicidio di Belaid invitando tutti i tunisini e i partiti di ogni ispirazione ad unirsi. “Vogliono gettare il Paese nel caos e ammazzate la rivoluzione dei Gelsomini”, dicono in coro i leader di un islamismo moderato ormai alle corde. “Mercenari al soldo di Ennadha sono i responsabili degli attacchi alle sedi del mio partito”, aveva denunciato sabato scorso Belaid in un appello lanciato attraverso le tv tunisine. “La violenza – aveva previsto – esploderà ogni volta che nell’Assemblea costituente si andrà a discutere un articolo retrogrado e contro la libertà”.
Crisi economica (i disoccupati sono ormai un milione), instabilità politica (la data delle elezioni non è stata ancora fissata) e spinte da parte di Ennadha ad introdurre nella costituzione principi della sharia, stanno portando la Tunisia sull’orlo del baratro. “Ennadha all’inizio si è presentato come un movimento democratico, poi ha rivelato il suo vero volto”, ci ha detto nei giorni scorsi Beji Caid Essebsi, leader di Appello alla Tunisia, il cartello di partiti laici e riformisti che si candida a guidare il Paese. “Attacco ai diritti delle donne, chiusura del dialogo con la società civile e lottizzazione di tutti i posti di potere nella tv, nell’amministrazione pubblica e nella cultura”, questa è la cifra del partito islamista. Sui rapporti con l’ala salafita estremista da parte del vertice di Ennadha, Essebsi non ha dubbi: “Lasciano fare, fanno finta di non vedere e non si oppongono alle violenze”.
“E’ stato uno choc ma ci aspettavamo un omicidio politico”, dice la giovane blogger Lina Ben Mhenni, che punta il dito contro i miliziani della “Lega per la difesa della rivoluzione”, “in cui ci sono ex carcerati pagati proprio per organizzare le violenze”. Allarmato anche il professor Abdel Fatah Mourou, fondatore di Ennadha, ma odiato dagli estremisti. “Almeno 150 moschee sono in mano ai salafiti, dietro la loro forza c’è lo zampino di Arabia Saudita e Qatar, ho chiesto più volte di lanciare un appello in tv contro le violenze, ma nessuno mi ha ascoltato”.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 7 febbraio 2013)