Thalidomide: si è indennizzati solo se nati tra il 1959 e il 1965

da guardian.co.uk

(di Elisabetta Cannone)
In Germania lo chiamavano perfino “baby sitter dei bambini”. Ma quello che doveva essere un semplice farmaco antinausea, un blando sedativo dato alle donne incinte si è rivelato una vera tragedia per migliaia di persone. Perché gli effetti del thalidomide (farmaco prodotto dalla casa tedesca Grunenthal e immesso nel commercio nel 1957 con diversi nomi) non si sono fatti attendere. In tutto il mondo sono stati circa 20mila i bambini nati con la focomelia, una malformazione congenita che li ha privati di gambe e braccia, o gravemente deformati. Una patologia così grave che nel 1961 ha costretto la Germania a ritirare il farmaco. L’Italia, dove le vittime sono diverse centinaia anche se non c’é un censimento ufficiale, lo farà con un anno di ritardo. E con ancora più ritardo, il ministero della Salute nel 2007 con la legge 244 del 2007 (cosiddetta finanziaria per l’anno 2008) all’articolo 2, comma 363 riconosce un indennizzo “ai soggetti affetti da sindrome di talidomide determinata da somministrazione dell’omonimo farmaco”. Una svolta per chi è nato malformato, ma solo tra il 1959 e il 1965. Il problema sta proprio in quell’arco temporale così netto. Perché di bimbi con la focomelia da thalidomide ne sono nati anche dopo il 1965. E oggi chiedono allo Stato di essere riconosciuti e indennizzati. Lo sta facendo Monica, siciliana che oggi sta a Verona. Lei come si vive senza braccia per colpa del thalidomide lo sa benissimo. Lo sa dal 1969, quando è nata senza il braccio destro (solo un dito uncinato) e con quello sinistro tutto attaccato e tre dita. “Per i miei è stata come una vergogna, nessuno era mai nato così – racconta Monica -. A quattro anni mia madre se n’è andata e mio padre mi ha messo in vari istituti perché non riusciva ad accudirmi”. Difficile immaginare come si possa vivere senza usare le mani per qualsiasi cosa: prendere un bicchiere, spostarsi i capelli, mangiare, fare una vita normale. Altrettanto difficile chiederlo. Monica lo spiega da sola. “Com’é la mia giornata tipo? Non esiste, ci sono alti e bassi. Puoi iniziarla bene e poi un gesto, una parola ti buttano giù. Ma non è quello che accade fuori a ferire, ci sono abituata – spiega –. Quello che mi ha ferito è stato non poter prendere in braccio i miei tre figli (tutti sani – precisa Monica –, quello che ho non si trasmette) e mio nipote”. Dolore e rabbia, perché quello di Monica non è una disgrazia e nemmeno destino maledetto: “mia madre ha preso il thalidomide per minacce di aborto”.
Dal 2009 la consapevolezza di non essere l’unica. Da lì la forza e il coraggio di essere la prima in Italia a intraprendere una battaglia legale perché sia riconosciuta vittima del thalidomide, anche se per lo Stato italiano la sua data di nascita non lo consente. “È assurdo e umiliante – dice Monica – se guardi me e un indennizzato abbiamo le stesse identiche malformazioni. E allora perché lui sì e io no?”. “Sei mesi fa abbiamo sollevato una questione di legittimità costituzionale perché si possa aprire una breccia in questa incredibile storia – spiega l’avvocato Ermanno Zancla, legale della signora Monica -. Riteniamo che anche i nati prima e dopo questo ingiustificato sbarramento temporale abbiano il diritto di essere quantomeno visitati dalla Commissione medica competente. E poi – aggiunge il legale – come per le cause già intentate con successo in materia di sangue infetto, con il collega Stefano Bertone di Torino e un collegio di professori universitari specialisti della materia stiamo preparando una class action contro il ministero della Salute perché riconosca, oltre l’indennizzo, anche un congruo risarcimento a tutte queste persone”.
(pubblicato su La Sicilia del 10 febbraio 2013)