Se la legge diventa moralismo
Da una parte, poverino, dobbiamo capirlo. Per lui, il Cav, che è di sua natura un animale da palcoscenico, un edonista da telecamere e microfoni puntati, vedersi scippare i riflettori dalle dimissioni del Papa (non accadeva dal 1294, se non è sfortuna questa) dev’essere stato un duro colpo. E quindi, dopo il numero della restituzione dell’Imu in contanti, ce ne voleva un altro. Ed ora il caso delle tangenti Finmeccanica gli offre un assist per un’affermazione già destinata ad entrare nella sua personalissima antologia: “Quando grandi gruppi come Eni, Enel o Finmeccanica – spiega l’ex premier ospite di Agorà su Raitre – trattano con Paesi che non sono complete e perfette democrazie ci sono delle condizioni che bisogna accettare per vendere i propri prodotti. Tangenti? Sono commissioni chieste in quei Paesi, le democrazie come la nostra queste cose non le fanno”. E bolla dunque come “moralismi” le inchieste di una magistratura che è oltretutto “masochista” perché – tanto per cambiare – va contro i nostri interessi economici. E già che c’è promette di reinserire l’immunità parlamentare qualora avesse i numeri per farlo.
Si può ribattere che nessuno sia tanto ingenuo da pensare che si possano sottoscrivere commesse di forniture belliche per mezzo miliardo di euro regalando agendine di pelle e penne a sfera, ovvio. Ma la gravità dell’ultima sparata di Berlusconi non risiede nell’aver svelato questa ovvia verità. In primo luogo, l’inchiesta in questione non parte da una base di “moralismo”, che semmai si chiama – termine ormai desueto – “legge”, quanto piuttosto dalla possibilità che parte di quella tangente – pardòn, “commissione” – da oltre 50 milioni di euro destinata ai funzionari di Nuova Delhi sia potuta rientrare in Italia a impinguare le tasche di qualche dirigente nostrano. Ci sarebbe poi molto da ridire sul fatto che “le democrazie come la nostra queste cose non le fanno”. Perché, che tipo di democrazia è la nostra? Presto detto: secondo un rapporto di Transparency International, il nostro Paese sale sul podio della corruzione europea, insieme a Grecia e Bulgaria, ed al 72° posto in una classifica mondiale. Al livello della Tunisia, per farci un’idea, mentre Francia e Germania raggiungono il 13° e il 22° posto. Ma i numeri non dicono tutto, basta guardare con un minimo di occhio critico la realtà politica che ci circonda per capire che la situazione sia più grave di qualunque aspettativa. Il numero di inquisiti che affastellano in maniera indegna la nostra classe politica non è figlio di un eccessivo “moralismo” della nostra magistratura. A questa favola può “credere” solo un pluri-indagato proprio come Berlusconi. Ora i contendenti di questa campagna elettorale colgono la palla al balzo per replicare: da Bersani che si limita a un secco “no alle tangenti” (e ci voleva Berlusconi?) all’ex premier Monti che va oltre, sostenendo che ci troviamo davanti a “una nuova Tangentopoli” esattamente come nel ’92, con la differenza che oggi “la politica da meno speranza”. Un’affermazione che, per quanto appaia strumentale alla campagna elettorale, suona come veritiera.
Il problema non sta nel fare i moralisti, sappiamo che il nostro è un Paese che investe molto nel business della guerra, che è un mercato con le sue regole non scritte. Il punto è che un’affermazione come quella del Cav, in un momento come questo, è come un fiammifero acceso lasciato cadere in un’autocisterna piena di benzina. Relativizzare l’etica politica, dire che “cosi fan tutti” è populismo allo stato puro, un argomento elettorale di infimo livello. In un disperato tentativo di rimonta, Berlusconi parla agli stessi a cui si rivolge proponendo il “condono tombale” e suggerendo di non pagare il canone Rai. Gli stessi che qualche anno fa invitava allo sciopero fiscale. E sono tanti, troppi. Ma ciò che fa più paura non credo siano le sparate di un vecchio leader politico. Ne ha dette tante, possono suscitare ilarità o indignazione, ma ormai abbiamo capito che lasciano il tempo che trovano. Il problema vero sta nel terreno fertile che certe parole gettate al vento rischiano di trovare.