Migranti, lo spettro della rivolta: una tendopoli non basta
Prima di parlare delle condizioni di vita dei migranti nella Piana di Gioia Tauro bisogna abbandonare un luogo comune molto pericoloso, oltre che irresponsabile. Non c’è attualmente, sottolineo attualmente, il rischio di una nuova rivolta a 3 anni da quel gennaio 2010, quando la città di Rosarno fu teatro di durissimi scontri fra la popolazione e i lavoratori stagionali. Sostenere una cosa del genere significa, in un certo senso – e lo sa bene chi ci vive in quei posti – innescare un meccanismo di tensione che potrebbe degenerare. Significa sostenere che la comunità africana è un pericolo e lo è perché si trova a lavorare per pochi spiccioli al giorno e perché vive in condizioni precarie, senza acqua calda, spesso al freddo e, così come hanno evidenziato i medici dell’Asp di Reggio Calabria, in assenza di condizioni igienico e sanitarie adeguate. Non è questo il motivo che ha scatenato la rivolta dei migranti a Rosarno nel 2010. Quando la goccia che fece traboccare il vaso fu il ferimento di alcuni ragazzi africani. Non è più possibile che si giochi con quello che fa notizia in un territorio derubato, difficile da vivere e governare. Visite ai migranti dei ministri, visite di alte cariche dello Stato, visite di candidati a elezioni politiche, primarie e quant’altro non sono servite a sanare la situazione. Non sono servite a far sì che qualcuno prenda in mano la questione e programmi qualche intervento concreto perché tutto migliori. È difficile. E lo è anche perché a livello locale, parliamo della Regione Calabria ad esempio, nessuno muove un dito per quella che è una emergenza, fra altre mille emergenze probabilmente, dunque non prioritaria. Un fatto è certo e lo sostiene anche Giuseppe Pugliese, dell’associazione Africalabria : “Bisogna smetterla di agitare lo spettro della rivolta. C’è chi sta tentando di costruire comunicazione fra la popolazione e i migranti. Poi basta una provocazione e scoppia il casino”. Lo sa bene questo chi vive a stretto contatto con i migranti, chi ancora porta materassi, vestiti e viveri nella tendopoli di San Ferdinando, messa in piedi per volontà del Ministero dell’Interno e che accoglie più di mille lavoratori stagionali, tutti con regolare permesso di soggiorno.
Una specie di oasi nel deserto. Fuori dal centro abitato e lontano dalla civiltà, la tendopoli si trova praticamente dietro l’ex cartiera, a pochi chilometri dall’inceneritore di Gioia Tauro e dall’area in cui si vuole costruire il rigassificatore. Lì i migranti non danno fastidio a nessuno e come dire… lontano dagli occhi, lontano dal cuore, quel posto messo in piedi per accogliere 250 persone oggi ne ospita più del triplo. Qualche metro dopo la tendopoli una piccola zona a luci rosse dove a basso costo le ragazze, prevalentemente straniere, vendono il proprio corpo.
L’ordinanza di sgombero firmata dal sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, non ha avuto – al momento – alcun seguito. E, in effetti, nonostante l’Asp abbia svelato la precarietà delle condizioni igienico e sanitarie, non è stato indicato da nessuno un posto “normale” che possa accogliere i migranti. Un provvedimento del genere sarebbe stato davvero rischioso. Al momento non cambia nulla quindi, tranne che, ancora una volta, si registra il fatto che un primo cittadino di una comunità di circa 4mila anime viene lasciato quasi solo a gestire un problema di dimensioni enormi.
Nelle tende i migranti stanno meglio rispetto ai ghetti o alle case di cartone in cui vivevano prima, ma non stanno bene. Ci sono 4 – 5 bagni per più di mille persone, manca l’acqua calda e si è costretti a fare la fila per poter fare una doccia non gelata o riscaldare un po’ d’acqua. Con la tendopoli, non ci sono più i grandi insediamenti di una volta, il resto dei migranti è sparso in casolari abbandonati. Un centinaio in contrada Spina, poi altri piccoli insediamenti e il campo container a Rosarno. Ma la tendopoli, inaugurata in pompa magna, è solo una soluzione tampone. Perché i migranti dormono ammassati uno vicino l’altro, su materassi di fortuna e coperte umide che hanno solo grazie all’aiuto dei volontari. L’associazione Il Mio Amico Jonathan che gestisce la tendopoli non può da sola fare fronte a tutte le richieste, se non a quelle alimentari.
Forse prima di prendere qualsiasi decisione bisognerebbe far sedere ai tavoli di discussione chi è sul territorio da anni e sempre da anni si batte, anche con le proprie forze e ogni giorno, per dare aiuto ai fratelli africani. L’unica nota positiva in una vicenda tristissima è la solidarietà che comunque emerge in circostanze simili. La voglia di stare a fianco a chi ne ha più bisogno. Per il resto, tante parole, tante promesse, tante enunciazioni di principio e buoni propositi vari, tante frasi spesso inadeguate – fra cui quelli che senza distinguo parlano di ‘ndrangheta e migranti e poi sono gli stessi che dicono che la mafia imprenditrice veste in giacca e cravatta e ha interessi importanti. Molto più alti rispetto ai 50 centesimi, massimo 1 euro, per una cassetta di clementine! Tanta confusione e una nota dolente: la questione migranti è scomparsa dall’Agenda di qualsiasi governo e non esiste nel programma politico di nessun candidato. Tanto quando serve una passerella nella tendopoli si può sempre fare. Con buona pace di tutti. E se mai i migranti dovessero essere mandati via dalla tendopoli, se ne costruirebbe un’altra, un’altra ancora, come in una sorta di regresso all’infinito.. senza capire né qual è l’origine del problema né, tantomeno, come fare per risolverlo.