Ciaccio Montalto, un delitto di 30 anni addietro ma sembra di ieri
Trapani, 26 gennaio 1983. Da qualche ora è stato ucciso un magistrato, un giudice dicono subito in giro, Ciaccio Montalto, Gian Giacomo Ciaccio Montalto. I trapanesi non fanno differenza tra un pm e un giudice, sono la stessa cosa, Ciaccio Montalto era però pubblico ministero, sostituto procuratore della Repubblica ai tempi in cui i componenti di quell’ufficio si contavano sulle dita di una mano. Poco più che quarantenne lo hanno ammazzato nella notte tra il 24 e il 25 gennaio davanti casa sua a Valderice. Era stato a cena con degli amici, poi stava rientrando nella sua abitazione, sposato, con tre figlie, da qualche tempo aveva deciso di abitare lì da solo. Allora il tam tam dell’informazione non era quello dei nostri tempi e solo l’indomani gran parte della città prese conoscenza di quello che era accaduto. Hanno ammazzato un giudice è la voce che si rincorre. Assieme ad altre, abitava a Valderice da solo, senza la sua famiglia e quindi…E quindi già questo bastava a dire che insomma non era stato ammazzato per il suo lavoro. Facile immaginare per cosa. Nel 1983 il Tribunale di Trapani non era ancora nella sua attuale sede, nel “palazzone” di via XXX Gennaio, tra il porto e i palazzi del potere, Prefettura, Questura, Provincia e Comune, era in pieno centro storico, in una stretta viuzza che collegava la via Libertà al Corso Vittorio Emanuele, la “loggia” la chiamano a Trapani, la via delle passeggiate perché interamente pedonale, la strada dello “struscio” si dice oggi. Una sede angusta, un ex convento collegato ad una chiesa e a un magnifico chiostro. Parte dell’immobile è usato da anni come sede di uffici giudiziari, un’altra parte è la sede del Liceo Classico “Leonardo Ximenes”. Il 26 gennaio del 1983 c’è confusione davanti quel Palazzo di Giustizia. La strada è piena di gente, un via vai incessante, sono professionisti, avvocati, magistrati e giudici che fanno capannello all’ingresso, ci sono anche agenti, poliziotti, carabinieri. Gli studenti del vicino Liceo si avvicinano, capiscono l’accaduto, colgono la gravità. A Palazzo di Giustizia c’è già allestita la camera ardente dedicata al magistrato, un gruppo di studenti del Liceo Classico chiedono di potere rendere omaggio a quella vittima della criminalità. Dice di no il preside del Liceo Classico, prof. Marrocco, uno di quelli che aveva vestito la divisa fascista e che tale era rimasto, consigliere comunale dellìMsi per tanti anni, si oppone agli studenti, perentoriamente li invita a non disertare l’inizio delle lezioni, qualche professore a malincuore cerca di convincere quei giovani. Non sono studenti destinati a restare persone qualsiasi della città, sono giovani che diventeranno professionisti, investigatori, insegnanti, sceglieranno l’impegno sociale negli anni a venire forse anche perché toccati da quell’evento. Uno di questi testimoni è Giuseppe Linares, oggi primo dirigente della Polizia di Stato, per quasi 15 anni capo della Squadra Mobile di Trapani, oggi guida la divisione anticrimine della Questura di Trapani. “Ricordo – dice – che eravamo sgomenti davanti a quel delitto, un giudice ucciso nella nostra città era un fatto che ci sconvolgeva, non si parlava di mafia, erano i tempi in cui questa parola non girava a scuola e anche fuori dalla scuola, ma nonostante nessuno lo etichettasse come delitto di mafia eravamo ugualmente impietriti, come purtroppo accadde a noi stessi e ad altri dinanzi ad altri fatti altrettanto efferati compiuti negli anni a seguire, capivamo però che quell’omicidio toccava tutti. La reazione del preside fu quella come di qualcuno che voleva dirci che il fatto criminale era estraneo, doveva vederci estranei, non ci riguardava, e invece non poteva essere così e non fu così, e un gruppo di noi chiese un’assemblea, andammo alla camera ardente”. Con Giuseppe Linares c’era anche Attilio Brucato un altro giovane che ha fatto carriera nella Polizia di Stato, è stato capo della Squadra Mobile ad Agrigento. Anche lui allora fece parte di quel gruppo di studenti che non vollero restare impassibili. A loro finì bene, altri loro colleghi vennero sospesi. A raccontare quest’altra parte della storia la oggi professoressa Sabrina Rocca: “Nonostante ci fosse stato detto di entrare io con Roberto Costanza, Vincenzo Scontrino, Rosalia Cizio, Valerio Cirino – ricorda – decidemmo di saltare la prima ora per recarci alla vicina camera ardente, poi tornammo indietro di quei pochi metri che dividevano l’ingresso del Tribunale da quello del nostro Liceo Classico e entrammo in classe alla seconda ora. Fummo accolti da un preside fuori di se, che rivolto al rappresentante di classe, che era Roberto Costanza, gli chiese “tu ti senti più onesto del tuo preside per avere fatto questa cosa?” e lui di risposta gli disse “si”, il risultato fummo sospesi tutti per tre giorni, completammo il ciclo di studi superiori portandoci sino alla maturità il sette in condotta”.
Forse sono sufficienti queste parole per raccontare di come Trapani reagì al delitto del sostituto procuratore Gian Giacomo Ciaccio Montalto. O ancora per essere più chiari basta ricordare l’intervista a Repubblica del sindaco del tempo, Erasmo Garuccio, che considerato che l’omicidio era stato compiuto a Valderice tenne a dire che Trapani con quell’omicidio non c’entrava nulla. Garuccio era sindaco ancora nel 1985 quando ci fu l’orrenda strage mafiosa di Pizzolungo e in quella occasione andò anche oltre, “la mafia non esiste” ebbe a dire dinanzi ai corpi straziati di una donna e dei suoi due figlioletti, uccisi dal tritolo destinato al pm Carlo Palermo, morirono invece Barbara Rizzo Asta ed i suoi due gemellini di sei anni, Salvatore e Giuseppe, fecero da scudo a quel magistrato rendendogli salva la sua vita.
Gian Giacomo Ciaccio Montalto andava appresso ai soldi della mafia, fu precursore di tante cose, sentì la puzza dei viddani di Riina che arrivavano nelle città, accomodandosi nei salotti, droga, traffico di armi, speculazioni edilizie che cominciavano a farsi avanti, il “sacco” del Belice. Dieci anni dopo il terremoto del 1968 scoperch iò la pentola dello scandalo delle case costruite nella Valle e che erano costate tante volte di più del loro valore, oggi l’intuizione di quel pm è ancora viva nella Valle del Belice dove si contano centinaia di case popolari rimaste vuote, mai assegnate a nessuno, si è costruito in sovrabbondanza non per garantire una casa ma per assicurare guadagni illeciti alla politica che oggi continua a battere cassa allo Stato chiedendo soldi per finire la ricostruzione, incapace però di fare profonda autocritica dei propri comportamenti del passato, passato segnato anche dagli arresti che Ciaccio Montalto ottenne dall’allora ufficio istruzione del Tribunale di Trapani. Regia del “sacco” belicino guarda caso Salemi, la città degli esattori Salvo che fecero incetta di denaro con le espropriazioni, facendo si che alcuni terreni fossero espropriati e altri no, la stessa Salemi dove di recente il famoso critico d’arte Vittorio Sgarbi venendo qui a fare il sindaco, “chiamato” dal deus ex machina Pino Giammarinaro, ex deputato Dc, e sorvegliato speciale di mafia, venne a ripetere la solita solfa, “la mafia non c’è”, e però lui si è dovuto dimettere in tempo utile ad evitare di essere travolto dallo scioglimento per inquinamento mafioso dello stesso Comune.
Sono passati 30 anni dall’omicidio di Gian Giacomo Ciaccio Montalto ma è come se fosse stato commesso appena ieri. Gli scenari non sono cambiati. La presenza della mafia sebbene certificata da indagini e sentenze ancora oggi si mette in dubbio, più che mai quando le indagini toccato colletti bianchi, politici, burocrati. Qui a Trapani mafia e massoneria sono spesso la stessa cosa, dividono le stesse anticamere se non le stesse stanze. Ciaccio Montalto aveva scoperto che tra la Toscana e l’Emilia Romagna in quegli anni ’80 mafia e massoneria erano assieme, dentro aziende importanti, Licio Gelli e Giacomo Riina, fratello di Totò, addirittura si incontravano, e Ciaccio Montalto fece arrestare Giacomo Riina che trafficava in droga e armi con la Turchia. Eppure di tutto questo se ne parlava poco in giro, di queste indagini, delle speculazioni edilizie che Ciaccio Montalto andava scovando una per una. E ad ogni accertamento a casa di Ciaccio Montalto arrivava puntuale la minacciosa telefonata che annunciava che il giudice sarebbe stato presto ucciso. Ma quando alla Camera dei Deputati Leonardo Sciascia intervenne puntato il dito contro il Governo per avere lasciato solo il magistrato, il ministro dell’Interno dell’epoca, Virginio Rognoni ebbe a dire che il governo non sapeva nulla. Rognoni dichiarò che per un periodo Ciaccio Montalto aveva una scorta alla quale rinunciò, Sciascia gli ricordò invece che Ciaccio Montalto parlando con un giornalista, di eccezione, Vincenzo Consolo, raccontò dei pericoli che correva: “Se non li aveva svelati a chi di dovere – chiosò Sciascia – significa che non aveva fiducia in chi rappresentava le istituzioni e il Governo di questo non si interessa”. Scenari che si sono nel tempo ripetuti, sino ai giorni nostri. Mentre a Trapani si prepara a ricordare Ciaccio Montalto in due momenti, la mattina presso la scuola media a lui dedicata per iniziativa di Libera con il giornalista Salvatore Cusimano, il pm Dino Petralia ed altri ospiti. Nel pomeriggio a Palazzo di Giustizia per iniziativa dell’Anm e dell’associazione “50 metri”, vivrà un momento artistico e di ricordo col progetto Ferus. Forse arriverà il ministro Severino, forse altre autorità, pare debba arrivare anche l’ex ministro Rognoni. L’importanza del momento è segnata dall’attualità, dallo sforzo di chi tra magistrati, professionisti, giovani, hanno voluto che la giornata del 25 gennaio venisse dedicata per intero a Ciaccio Montalto; qualche giorno addietro qualcuno ha cercato di piazzare una microspia dentro la blindata di un pm, Andrea Tarondo, hanno violato il parcheggio del Tribunale per tentare di piazzare una cimice dentro la vettura. Come dire che alla mafia e alle menti raffinate che la collaborano nulla continua ad essere impossibile.