Ciaccio Montalto, storia di un delitto “mascariato”

Si racconta che un giorno di fine anno del 1982, passeggiando in carcere, dove era detenuto, il capo mafia di Mazara Mariano Agate, passando davanti alle celle, con il suo noto fare spocchioso, quello che per intenderci fu lo stesso di quando da una cella del Tribunale di Trapani, dove era processato, mandò a dire a Mauro Rostagno di non dire “minchiate” sul suo conto, ecco in quel modo Mariano Agate quel giorno del 1982 fece sapere a tutti i suoi compari che “Ciaccinu arrivau a stazione”, qualche settimana ancora e Ciaccio Montalto, “Ciaccinu”, che non era uno qualsiasi ma era un magistrato della procura di Trapani, fu ucciso davanti casa sua a Valderice. Era il 25 gennaio del 1983. Ecco “Ciaccinu arrivau a stazione” è la frase centrale di questa storia che però per 30 anni è rimasta nascosta, mai pronunciata se non in rare occasioni per poi sparire di nuovo, riemergere e svanire e diventare oggi finalmente famosa. In ritardo! Nonostante una sentenza di condanna all’ergastolo per i capi mafia Riina e Agate quali mandanti del delitto. Anche questa sentenza arrivata in ritardo! Roba di mafia insomma quel delitto e invece per anni la città di Trapani ha creduto, ha voluto credere, che Ciaccio Montalto fosse stato ucciso per altro, anche per motivazioni poco nobili. La mafia, d’altronde, in questi anni ha sempre trovato il modo giusto di “mascariare” qualcuno o qualcosa, un delitto, un avvertimento, per sfuggire ad ogni colpa: riuscì a fare spacciare da Roma come normale avvicendamento il trasferimento di un prefetto come Cesare Mori in tempi andati o in tempi recentissimi quello di Fulvio Sodano o ancora il suo passaparola infamante per tentare di riuscire a mandare via da Trapani, questori e capi della mobile soprattutto quanto di più questi si sono avvicinati a toccare il terzo livello come era arrivato a fare Ciaccio Montalto che quando fu ucciso si stava per trasferire, ma per sua volontà, alla procura di Firenze per continuare la caccia ai soldi di Cosa nostra, una caccia cominciata a Trapani ancora prima che entrasse in vigore la legge Rognoni La Torre.

Fu ucciso e poi “mascariato” Gian Giacomo Ciaccio Montalto e quel “Ciaccinu arrivau a stazione” che doveva essere la frase centrale per spiegare tutto è rimasta sepolta. Oggi la mafia non spara più ma sa mascariare meglio di prima, sa bene inquinare per essersi oltremodo infiltrata nelle istituzioni, nell’impresa, nelle banche, anzi nelle banche c’era già ai tempi di Ciaccio Montalto che era andato a bussare alla porta di alcune di queste. Una mafia oggi potente che sa bene proteggere il suo nuovo capo che si chiama Matteo Messina Denaro e i complici che lo adorano come un dio, che dovrebbero ben conoscere le differenze tra un mafioso e una persona per bene perché sono anche professionisti e uomini delle istituzioni.

La storia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto se si vuole è facile da raccontare, basta sfogliare le pagine delle indagini da lui dirette, l’inquinamento del golfo di Cofano, uno dei più belli paesaggi della Sicilia messo a rischio dagli scarichi illegali e anche dal tentativo di costruire qui negli anni ’70 una raffineria che era sponsorizzata dalle famiglie mafiose locali e al solito da qualche incosciente, e colluso sindaco, i soldi sporchi nelle banche, gli appalti truccati e le speculazioni edilizie, la droga e le raffinerie dell’eroina, i traffici di armi, la regia di tutto questo era di Cosa nostra, lo sapeva Gian Giacomo Ciaccio Montalto ma nel 1983 la mafia a Trapani, ma non solo a Trapani, per i più non esisteva e ci sono voluti 30 anni perché questa storia la si cominciasse a raccontare; c’è stata qualche voce isolata, le commemorazioni di queste 30 anni sono state solo dei giudici, i familiari a Trapani non ci sono più nemmeno stati perché in quel 1983 dopo avere ucciso loro il marito e il padre le minacce continuarono a tal punto da fare andare via la moglie e le figliolette di pochi anni. La storia del dott. Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore della Repubblica, qualcuno l’ha anche raccontata in modo banale, strumentale, perché in qualche momento è stato utile a questo qualcuno infilarsi dentro. Magari c’è chi pensa di poterlo fare ancora adesso. La storia oggi quasi ce la consentono anche di raccontare, perché la mafia, ci vengono a dire, è oramai sconfitta, ma non è così e non lo sanno solo magistrati e giudici eredi in qualche modo di Ciaccio Montalto. Ma lo sappiamo un po’ tutti. Lo abbiamo sempre saputo. Allora a coloro i quali pensano di potere consentire che finalmente oggi si possa parlare di Ciaccio Montalto va data una notizia, Ciaccio Montalto non è morto, è vivo. Perché se è vero come è vero che restano come restano attuali le sue indagini, e se queste indagini dunque sono vive, e allora il protagonista che le aveva avviate non può essere morto è ancora vivo, vive in altri che seguono il suo lavoro.

Trent’anni dopo. Dobbiamo presto riconquistare consapevolezza che a Trapani oggi la mafia pretende di restare inviolabile come pretendeva esserlo in quegli anni ’80, perché gli uomini che la comandano che l’aiutano restano gli stessi di allora, i cognomi si ripetono dall’83 ad oggi, dall’83 ad oggi si ripetono anche nomi e cognomi di responsabili morali se non materiali delle commistioni mafiose. A Trapani la mafia ha dalla sua il silenzio della città, il muro di gomma, l’indifferenza dell’informazione, rispetto al 1983 oggi tanti partecipano come però a delle passerelle, ci raccontano che c’è una antimafia che è peggio della mafia perchè poi tutto deve tornare normale, chi tenta di opporsi al suo strapotere una volta finiva isolato e ucciso, oggi isolato e allontanato, come è accaduto negli ultimi tempi a magistrati e poliziotti troppo pignoli. Oggi a Trapani si celebrano i morti per causa di mafia e però gli atteggiamenti non sono conseguenti e con questi si mostra diffidenza per i “vivi” che combattono la mafia: si è dimenticata la storia di Rino Germanà, il questore sfuggito alle lupare di Messina Denaro, Graviano e Bagarella, si dimentica la storia di Carlo Palermo, gli investigatori di oggi vengono spesso vilipesi con fandonie messe apposta a circolare sui social network. Una volta c’erano sindaci che negavano l’esistenza della mafia oggi ci sono sindaci che non pronunciano più la parola mafia e nel frattempo alcuni di loro sono condannati per favoreggiamento ad imprenditori mafiosi o ci sono politici corrotti dai mafiosi che vogliono anche farti ascoltare la loro lezione morale. In questi 30 anni è anche accaduto che investigatori che facevano il loro dovere sono stati rappresentanti ad organi di governo, al ministero dell’Interno come calunniatori all’indomani di clamorose operazioni nelle quali sono finiti in carcere mafiosi e colletti bianchi, c’è chi ha scritto nero su bianco che qui c’erano investigatori che si erano inventati la mafia mentre finivano in cella i mafiosi assieme ad imprenditori e commercialisti che però poi agli occhi di tanti benpensanti sono diventati untori quando hanno deciso di ammettere le loro malefatte e collaborare con la magistratura. Non viviamo in una terra normale purtroppo e ce ne accorgiamo ogni giorno di più. Viviamo in una terra dove ogni giorno dovremmo ricordare che la mafia è merda, come faceva a Cinisi Peppino Impastato contando i 100 passi che dividevano la sua casa da quella di don Tano Badalamenti, o ce lo diceva qui Mauro Rostagno che lavorava da giornalista a Rtc a 5 metri dalla stanza dove il suo editore, facente parte di una delle famiglie che Ciaccio Montalto aveva individuato come colluse, incontrava il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Oggi sicuramente Impastato e Rostagno verrebbero appellati come professionisti dell’antimafia, si sono risparmiati questa sferzante infamia solo perché per loro prima delle parole sono arrivati il tritolo per uno la lupara per l’altro.

La storia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto sta nelle pagine delle sue indagini, nel fatto di essersi allontanato dalla famiglia forse per salvaguardare i suoi familiari perché prima di essere ucciso puntuali sono arrivate a casa sua minacce di morte, Rocco Chinnici intervistato da Lillo Venezia per “I Siciliani” ha ricordato l’esistenza di un’auto blindata non usata a Trapani, altri testimoni, come il grande giornalista Vincenzo Vasile ricordano invece di quando Rocco Chinnici svelò che per Ciaccio Montalto c’era un posto nel pool antimafia dell’ufficio istruzione di Palermo, assieme a Falcone e Borsellino