E’ legge l’equo compenso
(di Valeria Calicchio)
Da ieri c’è una legge dello stato che impedisce il “caporalato” nel giornalismo. Una legge che per la prima volta stabilisce chiaramente che il lavoro dei cronisti va pagato equamente, tenendo conto del tempo e della professionalità impiegati per scrivere un articolo, montare un servizio, aggiornare un sito. Una legge che non assolve più dalle proprie responsabilità chi continua a pagare i giornalisti 5 euro al pezzo. Perché chi continua a farlo, dall’entrata in vigore della legge, sarà sanzionato. Nell’unico modo in cui si possono punire gli editori-caporali: togliendogli i finanziamenti pubblici. Ci sono voluti molti mesi, il lavoro martellante dei Coordinamenti dei giornalisti precari di tutta Italia, l’impegno di una parte del sindacato unico dei giornalisti (quello della Commissione nazionale lavoro autonomo dei free lance), la sensibilizzazione fatta dall’Ordine per portare a casa il risultato. Non era scontato, non lo è mai stato. La lobby degli editori è fortissima e collusa con la politica. E la legge sull’equo compenso è stata osteggiata per molto tempo. Perché fa paura mettere nero su bianco un principio alla base di tutte le democrazie: quello per cui il lavoro va pagato, sempre. E perché, soprattutto, la legge costituisce un precedente pericoloso. Stabilire che bisogna garantire una retribuzione equa fa paura. Soprattutto a un Governo che in un anno ha falcidiato, grazie alla riforma Fornero, il diritto del lavoro. L’equo compenso stabilisce per la prima volta che gli oltre venticinque mila giornalisti precarizzati e free lance italiani dovranno essere remunerati in maniera “proporzionale alla qualità e alla quantità del lavoro svolto”. Il pagamento dei freelance ,che ormai rappresentano il 70% dei lavoratori attivi nel settore dell’informazione, sarà agganciato alla legislazione nazionale prevista per chi ha un contratto. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge si dovrà insediare una commissione all’interno della quale siederanno rappresentanti dell’Ordine, dell’Inpgi, della Federazione, degli editori e del Governo. Due mesi dopo sapremo già qual è la soglia della dignità per i giornalisti senza tutele. La Commissione dovrà redigere inoltre una lista dei media che non rispettano la legge: a loro saranno tagliati i contributi per l’editoria. Tre anni di tempo per applicarla e utilizzarla concretamente contro la deriva liberista del mercato editoriale. La legge è, infatti, transitoria e fra tre anni bisognerà modificarla e approvarla di nuovo. Ma di là dai passaggi burocratici, il 4 dicembre è stato per i giornalisti precari un giorno molto importante. Per chi non ha ferie, malattia e diritto alla gravidanza, vedersi riconosciuto il principio sacrosanto a essere retribuiti è una conquista fondamentale. Una legge che fa bene anche alla qualità dell’informazione. Perché un giornalista “schiavo”, per quanto si sforzi di lavorare al meglio, è meno libero e ha meno possibilità di svolgere appieno il ruolo d’informatore. E perché questa legge davvero costituisce una testa di ponte per riconoscere il diritto a essere pagati anche ad altri lavoratori (quelli della conoscenza per esempio, ma anche a tutti quelli che pur svolgendo il lavoro giornalistico non sono iscritti all’ordine). Il lavoro vero comincia ora: la sfida è rendere operativa la legge, farla applicare e vigilare sugli editori che continuano a eluderla. E poi fare in modo che sia estesa anche ad altri settori. Perché nelle democrazie mature i diritti sono per tutti e di tutti.