Trapani e il suo muro di gomma

Avv. Salvatore Maria Cusenza -PHOTOBOVA

Se si dovessero aggiornare i capitoli di “Malitalia” questo risulterebbe il più eloquente per spiegare, al lettore interessato, come la “Malaitalia” c’è chi l’ha sostenuta a colpi di lupara. Questo non è solo il resoconto giornalistico dell’udienza di un processo, quello in corso dal 2 febbraio 2011 a Trapani per l’omicidio di Mauro Rostagno, l’ex leader sessantottino la cui vita è stata fatta fermare a colpi di arma da fuoco a Lenzi (Valderice) il 26 settembre del 1988, ma semmai è il racconto di una città, Trapani, che nel 1988 si è trovata dinanzi ad un bivio e i killer di mafia hanno determinato, per ordine dei mas santissima di Cosa nostra, quale via doveva essere intrapresa. E su quella via i trapanesi si sono incamminati per arrivare sino ad oggi, sempre continuando a seguire le indicazioni dei boss che nel frattempo hanno abbandonato le armi e governano ancora meglio questa società dove la legalità resta all’angolo, dove le regole dell’onorata società sono diventate regole e comportamenti che tanti perpetuano ogni giorno. Chi non sta a queste regole per adesso subisce magari l’isolamento, diventa l’untore. Qui addirittura c’è la mafia che predica l’antimafia. Qui ci sono sindaci che restano in carica sebbene condannati per favoreggiamento a mafiosi, qui ci sono stati sindaci che inauguravano i beni confiscati e poi si scusavano con i boss, qui ci sono stati sindaci che hanno detto che l’antimafia (riferendosi per esempio a Libera) è peggio della mafia, o sindaci che la parola mafia non la pronunziano e parlano di “malandrini”, per non impressionare gli studenti, o ci sono senatori che danno del mascalzone a Matteo Messina Denaro. I nomi? Uno per uno è possibile farli, Iovino, Caravà, Fazio, Damiano, D’Alì. Ma si potrebbe continuare a raccontare la “Malitalia” racchiusa entro i limiti geografici di questa provincia trapanese, ricordando altri politici che condannati per inciuci con i mafiosi sono stati “promossi” come è accaduto all’alcamese Pietro Pellerito che solo perché il prefetto lo ha sospeso non frequenta più l’aula del consiglio provinciale da dove mai si è dimesso, o si può raccontare di un funzionario dell’agenzia delle entrate che in cambio di rapporti hard avrebbe fatto favori e nel frattempo è stato rieletto consigliere comunale a Trapani, tale Giuseppe Ruggirello, o si potrebbe raccontare la storia dell’ex vice presidente della regione Bartolo Pellegrino che si è lasciato corrompere dai mafiosi e che nel 1988 quando Mauro Rostagno andò a bussare alla sua porta per intervistarlo gli rispose consigliandogli di “andare a zappare”.

Avv. Salvatore Maria Cusenza -PHOTOBOVA

Ecco quello che è successo a Lenzi la sera del 26 settembre 1988 ha prodotto tutte queste conseguenze, ha fatto si che un pezzo di società civile che poteva candidarsi con Rostagno in testa al governo della/e città si è ritrovata di colpo dissolta, sterminata, orfana. In quel 1988, lo ha raccontato ai giudici l’ex dirigente del Pci siciliano, Salvatore Maria Cusenza, si ragionava con Rostagno di come mettere fine a quel blocco antidemocratico che teneva imprigionata Trapani, e più si ragionava su questo, più Rostagno in tv rendeva leggibile giornalisticamente quel grande intelletto che portava dentro, più quella società civile che voleva ribellarsi trovava nuove spinte. “C’era un progetto che stavamo scrivendo – ha detto Cusenza – si pensava alle elezioni a Trapani, si spingeva perché quel Consiglio comunale dell’epoca, sconvolto da scandali, potesse essere sciolto, non c’erano nomi di candidati ma si pensava che Rostagno potesse essere il nuovo sindaco di Trapani”. In quel 1988 c’era un altro progetto che andava avanti ed era quello che puntava alla trasformazione di quel potere antidemocratico, la mafia stava cominciando a cambiare pelle, non solo assassina ma cominciava a diventare impresa, la mafia non voleva più chiedere il pizzo ma voleva in prima persona, con i suoi uomini gestire gli appalti, gestire le imprese, non voleva più votare gli uomini proposti dai partiti, voleva votare i suoi uomini, eleggere “punciuti”, per controllare direttamente gli affari delle pubbliche amministrazioni. Come è finita è stato detto. E’ stato quest’ultimo progetto ad andare avanti dopo che però Rostagno è stato ammazzato.

Ascoltando la deposizione dell’avv. Salvatore Cusenza (che la difesa dei due imputati nel processo Rostagno, ossia il capo mafia Vincenzo Virga ed il killer Vito Mazzara, ha cercato di evitare, ma il legale di parte civile, avv. Carmelo Miceli ha ottenuto che potesse essere sentito) emerge il racconto lucido di quel 1988 trapanese “targato” Rostagno, di quella “primavera” che poteva esserci e che non c’è stata. “Ho conosciuto Mauro Rostagno nel 1987 – ha detto Cusenza – una conoscenza sincera e profonda non occasionale, spesso abbiamo cenato insieme a casa mia o in comunità (la Saman ndr), abbiamo discusso con il massimo di sincerità e lealtà…era un rapporto di stima…Mauro Rostagno è descritto come un giornalista, in verità era un grande intellettuale….Mauro Rostagno aveva forte passione politica anche se non militava in un partito…la passione la spendeva e la spendevamo assieme per capire Trapani….noi pensavamo di potere offrire alla città di Trapani una alternativa ….convenivamo che a Trapani esisteva un consolidato sistema di potere mafioso antidemocratico e clientelare….”. In tv quel potere Rostagno lo denunciava parlando di processi e di altro, puntò dritto al potere mafioso di ieri e di oggi, quello del mazarese Mariano Agate, che era, ed è, sebbene in carcere, il punto di incontro tra mafia, massoneria, politica. “In una città perbenista (e che tale è rimasta ndr) la rottura – ha continuato Cusenza – era le cose che Rostagno diceva in televisione…nei suoi interventi era descritta la nuova riorganizzazione della mafia, non seguiva un linguaggio cifrato ma c’erano i nomi e cognomi”. Quando lo ammazzarono era lì per lì per nascere un giornale, “quella sera del 26 settembre 1988 – ha ancora detto Cusenza – dovevamo discutere sulla copertina del giornale, era azzurra, divenne il suo sudario”. Quel giornale doveva uscire raccontando alla città i risultati degli ultimi ragionamenti che Cusenza ha detto di avere fatto con Rostagno durante i loro incontri. “Ragionavamo sulla presenza di servizi segreti deviati nella provincia di Trapani …Parlavamo anche di massoneria, parlavamo della più grande loggia massonica presente a Trapani ed era quella di Campobello di Mazara…”. I killer non diedero tempo di potere stampare quei ragionamenti e renderli così noti a tutti. Ci sono voluti anni perché queste cose potessero venire fuori, ci sono sentenze di condanna che dicono come quei ragionamenti erano fondati, ma le sentenze a Trapani non vengono lette pubblicamente e se questo viene fatto puntualmente accade che qualcuno cerca di smentirle e per fare ciò Trapani offre ancora oggi fertile terreno. Ieri come oggi il problema vero resta quello di una informazione che spesso non informa, per incapacità, ignavia, o per connivenza. “All’epoca tutti parlavano di mafia – ha proseguito Cusenza – non si poteva tacere sui delitti che insanguinavano il territorio ma la differenza era costituita dal fatto che Rostagno a Rtc rispetto a quegli accadimenti offriva chiave di lettura ragionate…non si fermava alla cronaca”. Mauro Rostagno “aveva riscoperto la passione e la passione politica” (parole di Chicca Roveri, la sua compagna), la mafia lo ha punito con il piombo.

Renato Curcio -PHOTOBOVA

La testimonianza di Cusenza è stata seguita da quella dell’ex capo delle Br Renato Curcio. Anche lui citato dalle difese. Avrebbe dovuto dare ragione agli imputati per via di una intervista del 1996 dove diceva che la mafia non c’entrava nulla col delitto e che l’omicidio di Mauro Rostagno era frutto di altro, da inserire tra i “misteri” italiani. E’ stata una lunga deposizione ma la sintesi è oltremodo succinta, “non ho verità da offrire sul delitto” se non un sogno (nemmeno fatto da lui ma dalla moglie che nemmeno conosceva Rostagno): “Mia moglie mi disse di avere sognato Mauro che tra delle rocce cercava una cassetta”, cosa che si sovrappone a quella che fino ad oggi è rimasta una leggenda, quella che vuole che Rostagno avrebbe filmato un traffico di armi sulla pista di un aeroporto trapanese chiuso dagli anni 50, che avrebbe tenuto sulla sua scrivania una cassetta con lo scritto non toccare, e che dopo la sua morte non si trovò più. Niente verità, solo un sogno che Curcio ha raccontato facendo spallucce, dicendo che era solo un sogno e nient’altro. E come spesso accade i riflettori si sono accesi su quel sogno, e non sulle verità di una città, Trapani, che resta prigioniera di un muro di gomma.