Reggio Calabria e la malapolitica

“L’immagine della città, hanno colpito l’immagine della città”. E’ il ritornello che ai tavolini del “Cordon Bleu”, bar del salotto buono di Reggio, cantano tutti all’ora dell’aperitivo sfogliando i giornali. Come se il commissariamento per mafia deciso dal governo fosse stato un fulmine a ciel sereno, perché qui, in riva allo Stretto, la ‘ndrangheta è solo un fenomeno di folklore. “Osso, Mastrosso e Carcagnosso”, i cavalieri venuti dalla Spagna a difendere l’onore di una pulzella e fondatori dell’onorata società. Balle buone per le passerelle dell’antimafia ciarliera, e i canti di malavita da vendere sulle bancarelle delle feste paesane. La realtà, invece, ha il suono delle sirene di Guardia di Finanza e polizia che all’alba di ieri hanno disturbato il sonno dei reggini. Un altro colpo alla ‘ndrangheta spa che prosperava all’ombra del Comune. Otto arresti, una intera famiglia mafiosa, quella dei Fontana, che si era appropriata della Leonia, la società per la raccolta dei rifiuti. “Le società miste (quelle costituite dal Comune di Reggio con la partecipazione di privati, ndr) hanno rappresentato uno dei poli di attenzione della ‘ndrangheta, finendo con il rivelarsi strumento (l’ennesimo) mediante il quale la criminalità organizzata ha infiltrato (sarebbe meglio dire ha fatto propria) l’economia cittadina”. E’ la nota amara del pm Giuseppe Lombardo, che a Reggio indaga sui rapporti mafia politica. Ai Fontana hanno sequestrato un tesoro di 30 milioni. Perché per i mafiosi la “mundizza” è un business anche qui. Per i reggini è un pessimo affare. I boss si sono arricchiti, la città è sporca e la differenziata al ridicolo livello dell’11,2%. “E noi siamo in mezzo a una strada”. Antonio Errante è un lavoratore della Leonia, ci racconta di stipendi presi a singhiozzo e di macchinari fatiscenti. “Se comandava la ‘ndrangheta che vadano in galera tutti, ma il prezzo non lo vogliamo pagare noi e le nostre famiglie”. Sono cinquecento i lavoratori delle municipalizzate a rischio. Alcuni di loro sono sotto palazzo San Giorgio, la sede del Comune. L’austero portone è chiuso a doppia mandata e presidiato dalla polizia. In piazza ci sono centinaia di lavoratori da mesi senza un centesimo e senza il briciolo di una prospettiva. “Vogliamo un lavoro libero e onesto”, c’è scritto sui loro cartelli. Sono i dipendenti dell’ex colosso Gdm (Grande distribuzione meridionale), dell’imprenditore Carlo Montesano, proprietario di resort a Scilla e del migliore albergo cittadino. La società è fallita e Montesano è nei guai fino al collo per una inchiesta che lo vede imputato di bancarotta, favoreggiamento e intestazione fittizia di beni con l’aggravante mafiosa. Chiedono di essere ricevuti dal sindaco, i lavoratori, vogliono parlare con qualcuno, ma al Comune non c’è anima viva. Vuoti i saloni, le stanze degli assessori, le segreterie, deserte le scrivanie dei consulenti. I comitati d’affari ora si tengono alla larga. La festa è finita, lunedì arrivano i commissari e per diciotto mesi avranno nelle mani il destino della città. Demetrio Arena, ormai ex sindaco, tace dal pomeriggio di martedì. L’ultima volta che lo hanno visto, raccontano di lui come di un uomo distrutto, affondato nella sua poltrona mentre la tv rimandava le immagini della ministra Cancellieri che pronunciava la parola maledetta: “Scioglimento”. E’ muto Arena, introvabile, affida poche e amare riflessioni ad un comunicato nel quale prevede “tempi duri per la città ingiustamente criminalizzata”. Prova “sconcerto” per le parole della Cancellieri, ma poi lancia messaggi. Mi contestano di non aver contrastato la mafia e di non averlo fatto “nei primi sei mesi della mia amministrazione”. Tradotto, se i boss si sono impadroniti del Comune, davvero credete che sia colpa mia? Una domanda rivolta a Peppe Scopelliti, l’amico di una volta, l’uomo che lo scelse come suo successore alla guida di Reggio. Che ora, di fronte al disastro politico nel quale Demi Arena è stato precipitato, si limita a cinguettare su Twitter: “Il commissariamento è la sconfitta della democrazia”. Nel frattempo il governatore “delle Calabrie” si prepara ad un faraonico viaggio negli States. Ospite d’onore alla 37° convention della Niaf, dove, insieme a imprenditori amici e politici di supporto, porterà le meraviglie della sua disgraziata regione.
Bussano alle porte sbarrate del Comune, i disoccupati di oggi e quelli di domani. E’ la Reggio impoverita dalla malapolitica che va a braccetto con i boss. Prosciugata dagli affaristi che qui si mangiano la città e che portano i denari a Milano, la vera capitale della ‘ndrangheta. Nei lussuosi uffici di Via Durini 14 opera Bruno Mafrici, un rampante avvocato calabrese già finito nei guai per la vicenda Lega-Belsito, qui confluivano i conti di moltissimi imprenditori di Reggio Calabria e di alcuni soci privati della Multiservizi, la municipalizzata conquistata dalla ‘ndrangheta. Reggio muore. Milano si ingrassa.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano 11 ottobre 2012)